Se la storia ha sempre bisogno del racconto, può presentarsi come ricostruzione e interpretazione dei fatti ma anche diventare, quando serve, una vera e propria “costruzione”: cronaca e propaganda possono intrecciarsi per ottenere una narrazione che sia funzionale a un preciso scopo. È una di queste storie che racconta Come vincere la guerra, il nuovo documentario di Roland Sejko (Albania – Il paese di fronte; Anija – La nave, David di Donatello 2013; Pritja, L’attesa), prodotto da Istituto Luce Cinecittà con il sostegno della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Struttura di Missione per gli anniversari di interesse nazionale e del Comitato storico scientifico per gli anniversari di interesse nazionale.
Nell’ambito delle celebrazioni del Centenario della Grande Guerra, il film si sofferma su un momento cruciale del conflitto: l’intervento degli Stati Uniti in Europa, che a partire dalla dichiarazione di guerra alla Germania nell’aprile del 1917, avrebbe determinato una svolta decisiva degli eventi. Un documentario che, a partire da una ricerca condotta in collaborazione con la Cineteca del Friuli su rari, straordinari filmati d’archivio di proprietà del NARA – National Archives and Records Administration e della Library of Congress, restituisce il punto di vista statunitense sulla guerra europea.
Il 1917 è un anno decisivo per l’Italia e per l’Europa. La guerra dura da anni e non sembra avere una fine, il rapporto tra le forze in campo non permette a nessuna di esse di prevalere. A ottobre, con la rivoluzione russa, le nazioni dell’Intesa perdono un alleato prezioso contro le forze tedesche e austriache; l’unica speranza sembra essere l’intervento di un nuovo alleato, che impegni uomini e mezzi consistenti e rompa l’impasse. Sarà questo il ruolo degli Stati Uniti di Wilson, che a partire dalla primavera ha iniziato a predisporre un esercito che l’anno successivo giungerà a contare due milioni di uomini. I nuovi alleati però dovranno essere impegnati sullo stremato fronte occidentale, non è previsto il loro impiego militare in Italia. Qui giunge, nel luglio 1918, solo il 332° Battaglione di Fanteria: poche migliaia di uomini che hanno il compito di sfilare in zona di guerra per far credere di combattere a fianco degli italiani.
L’Italia è in una situazione difficile: il 24 ottobre 1917 la rotta militare di Caporetto ha lasciato gravi ferite e si moltiplicano le ribellioni contro la guerra. Serve un segnale forte, un sostegno se non materiale, almeno morale. Gli Stati Uniti sono un paese democratico e progressista guidato da un presidente sensibile al ruolo vitale della moderna propaganda, l’arma psicologica che sa dare una motivazione persino ai disillusi soldati europei. Gli americani portano così anche in Italia (per la prima volta, in un paese che non aveva mai conosciuto niente di simile), la loro esperienza nel campo della comunicazione. Sarà una guerra fatta di sostegno materiale ma soprattutto di simboli, di manifesti, bandiere, film: tra questi, il segno più evidente saranno proprio i doughboy, con le loro divise impeccabili, il loro inno, uno stile di vita che non tarderà a farsi strada nel nostro.
Attraverso le voci di militari, giornalisti e osservatori diversi (tra cui Ernest Hemingway, Antonio Gramsci, il grande regista David W. Griffith) e documenti visivi straordinari, si può rivivere il clima di quel momento cruciale: la violenza della guerra non è visibile solo nelle azioni militari e nell’inferno della trincea, ma anche nel dolore di un cavallo che affonda nella neve o nello sguardo perduto di un soldato; ma anche il festoso varo di una nave, o lo stato di sospensione di una Venezia bellissima e surreale, permettono di capire la quotidianità della guerra.
Ma questo conflitto non fu solo una questione di armi. Quella del 332⁰ Battaglione di Fanteria in Italia è una guerra comunicata più che combattuta: comunicata attraverso divise ordinate, volti puliti e rassicuranti, musica, bar, continui cambi d’abito per mostrare un numero maggiore di soldati, scambi di oggetti culturali. Una guerra dunque messa in scena, dove per la prima volta in modo sistematico compare un nuovo insostituibile protagonista di tutte le guerre del Novecento: la macchina da presa. Da questo momento la storia, i suoi eventi e il suo racconto, non potranno più fare a meno del cinema.
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