Il ritorno su Netflix di Black Mirror, la popolarissima serie sci-fi antologica targata Charlie Brooker, ha reso felici milioni di fan in tutto il mondo. Dopo un paio di stagioni sottotono, questa settima sembra essere tornata quasi ai fasti del passato, offrendoci le disturbanti visioni del futuro a cui eravamo abituati e, soprattutto, tante idee che hanno a che fare con il nostro presente. Anche negli episodi un po’ meno brillanti, c’è sempre qualcosa che stuzzica la fantasia, come ad esempio nel quarto episodio, Plaything (in italiano Come un giocattolo), che nasconde una sorpresa che merita di essere scoperta. Nonostante il cortometraggio non riesca a distinguersi come uno dei più sconvolgenti ed emozionanti della serie, infatti, Plaything non può essere giudicato per davvero senza avere messo le mani sulla sua controparte narrativa: il videogioco Thronglets che si nasconde nel codice a barre all’interno dei titoli di coda e che successivamente è stato rilasciato sugli store digitali.
Ambientato nello stesso universo di Bandersnatch, episodio spin-off interattivo della serie in cui lo spettatore era chiamato a compiere scelte al posto del protagonista, Plaything racconta di Cameron, un giovane redattore di una rivista di videogames che riesce a mettere le mani sulla copia di un rivoluzionario videogioco creato dallo geniale sviluppatore Colin Ritman (Will Poulter), appunto Thronglets. Più che un gioco, il software si rivela presto un simulatore di intelligenza capace di imparare ed evolvere, facendo entrare Cameron in un loop tra la follia e la visionarietà, che anni dopo lo porterà a conseguenze inimmaginabili.
Sviluppato da Netflix Studios, il gioco ripropone – oltre a qualche contenuto extra – quasi pedissequamente quello visto all’interno dell’episodio: un’esperienza che inizialmente si ispira a quella dei Tamagotchi per poi evolvere velocemente in un gioco gestionale dalle meccaniche videoludiche abbastanza profonde anche se volutamente imperfette. Nell’esperienza di un videogioco assolutamente credibile, in cui bisogna realmente impegnarsi per andare avanti, si innesta una dinamica narrativa che ci fa ragionare non solo sul tema dell’intelligenza artificiale (da sempre caro a Black Mirror), ma sul senso stesso della società in cui viviamo. Un gioco che, collegandosi direttamente a quanto raccontato nella serie, si carica di sottotesti psicologici ed emotivi altrimenti nascosti.
Al contempo, costringendoci a cambiare device e medium narrativo, Thronglets ci offre un nuovo punto di vista sulla storia di Plaything e ci permette in qualche modo di comprendere in prima persona le ragioni che hanno mosso il protagonista (magistralmente interpretato da Peter Capaldi e Lewis Gribben). Avere la possibilità di giocare a Thronglets dopo avere visto il finale a effetto di Plaything è qualcosa che indubbiamente innalza il livello narrativo e artistico dell’operazione, rendendo l’esperienza emozionante e galvanizzante: la sensazione, infatti, è quella di trovarsi all’interno di un episodio di Black Mirror, sperimentandone attivamente le tematiche. L’accoppiata cortometraggio-videogioco rappresenta un progetto crossmediale indubbiamente riuscito che permette a Netflix di portare valore alla sua piattaforma, che da anni ormai propone ai suoi abbonati videogiochi da scaricare sui propri dispositivi gratuitamente. In un’industria dell’audiovisivo in cui i medium non sono mai stati così dialoganti, ancora una volta Black Mirror sa come apportare il suo inimitabile contributo.
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