“È difficile spiegare al grande pubblico cosa significa oggi Cinecittà per il cinema italiano. I servizi che offriamo sono a volte poco visibili ma di riferimento per tutte le produzioni italiane”. Così esordisce il neo-direttore di Cinecittà Studios, giovane manager prestato al cinema (master in direzione aziendale alla SDA-Bocconi), segnalandaci la visibilità come vero punto dolente degli studi romani.
La scarsa occupazione dei teatri di posa non è indice quindi di una tendenza ineluttabile del cinema italiano a chiudersi in “due camere e cucina”…
È sbagliato il paragone. L’occupazione dei teatri è più massiccia per le produzioni straniere perché il trasferimento a Roma implica un’organizzazione accentrata delle riprese, mentre gli italiani magari girano qui solo le dieci scene per cui sono strettamente necessarie le nostre strutture.
Quindi è il costo a tenere lontane le produzioni indipendenti.
No affatto. Proprio le valutazioni sul beneficio economico dimostrano che lavorando in teatro si ottengono risparmi notevoli, ad esempio riduzione al minimo dei tempi morti e degli imprevisti, come quelli atmosferici.
Negli ultimi anni c’è stato un boom di produzioni estere. Su cosa puntate per rendere appetibile Cinecittà anche in futuro?
Di certo non sulla mera convenienza economica; il tasso di cambio può tornare a essere meno vantaggioso. I fattori sono tre. Il primo è la forte integrazione fra nuove tecnologie, professionalità e artigianalità. Voglio prendere a esempio proprio Gangs of New York di Martin Scorsese. Nel teatro 5 è stata costruita una fabbrica di birra, “storta”. Ebbene, dall’esterno si ammira il genio artistico dei mastri scenografi, mentre dentro la complessa anima di acciaio che la sostiene è frutto della professionalità degli ingegneri, che rendono la costruzione sicura e praticabile.
Un fattore non meno importante è l’offerta di un ciclo produttivo completo. Sempre pensando a Scorsese, il regista la sera può vedere i giornalieri, in sale di proiezione apposite, con la affidabilità tecnica che non possono offrire certo gli studios che devono rivolgersi all’esterno per i servizi di sviluppo e stampa. Anche questo aiuta a ridurre i costi e soprattutto a dare fiducia.
Infine, Cinecittà è unica perché crea fidelizzazione. Tutti i professionisti che hanno lavorato e lavorano qui, apprezzano la fluidità e la convenienza del ciclo creativo e produttivo. Lo stesso Dante Ferretti, scenografo di Gangs of New York, continua a valorizzare i nostri studi al pari almeno di quelli americani.
Quali sono i settori su cui Cinecittà deve investire nel prossimo futuro?
Innanzitutto la comunicazione e la promozione, delle produzioni estere così come in genere della nostra capacità di “fare”, di gestire situazioni complesse, come ricostruire New York o ideare e fornire l’apparecchiatura per gli effetti speciali di U-571 in poche settimane. La “crisi” degli studi è stata più mediatica che altro, nel passato. Persino negli anni ’80, furono prodotti qui film tecnicamente impegnativi come Il nome della rosa, Le avventure del Barone di Munchausen o Momo.
Altra priorità, proseguire nel piano di investimenti, avviato con la privatizzazione, di miglioramento degli spazi fisici e delle infrastrutture. Infine, puntare sulla postproduzione di nuova generazione. Gli Studios in sinergia con Cinecittà Holding sono impegnati nel disegnare e proporre al mondo del cinema italiano le strade per essere all’avanguardia sia espressivamente che tecnologicamente.
Cinecittà da un lato anticipa l’evoluzione tecnologica dei processi produttivi e dall’altro è in grado di recepire le istanze specifiche del mondo del cinema, divenendo quindi una sorta di indispensabile “filtro” fra produttori tecnologici e produttori di cinema.
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