VENEZIA – “È necessario riempire gli studios di Cinecittà di attività, anzi meglio: di attività che siano coerenti con la missione cinematografica. Ora che il ministro Franceschini ha modificato la legge su tax credit internazionale rendendola più efficace, un’altra chiave per la crescita può essere il coinvolgimento della Rai nelle attività dei teatri di via Tuscolana”. Dopo circa tre anni di conflitti, tensioni e preoccupazioni per le sorti degli Studios di Cinecittà, il Direttore Generale Cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali Nicola Borrelli (e non solo lui) invoca l’intervento potenzialmente risolutore di mamma Rai, convitato di pietra all’incontro “Cinecittà Mon Amour – Gli autori per un bene pubblico europeo“, organizzato oggi al Venice Film Market da Anac e Giornate degli Autori.
A confrontarsi sul futuro di Cinecittà dopo 17 anni di gestione privata, c’erano appunto Nicola Borrelli, Roberto Cicutto (Ad di Istituto Luce Cinecittà), Luigi Abete (ex presidente, ora azionista di Cinecittà Studios), Massimo Corridori (Rsu di Cinecittà Studios) e lo scenografo Enzo De Camillis, in un incontro moderato da Richard Heuzé, corrispondente di Le Figaro e da Francesco Ranieri Martinotti (Anac). Prima di iniziare, però, sono arrivate dall’altro capo del mondo le immagini del collegamento via skype con Nico Dekker, chief executive dei Cape Town Film Studios, una realtà nata da una manciata di anni e già in attivo grazie a un lavoro “non tanto sulla modernità della struttura, quanto sui contatti con le parti creative”.
Dal canto suo la settantasettenne Cinecittà cerca di uscire da una crisi dettata da “un calo di investimenti nel settore e, di conseguenza, di fatturato – ha spiegato il Dg Cinema Borrelli – e da una carenza di domanda che provoca un basso sfruttamento della capacità produttiva e quindi problemi occupazionali”. Secondo Roberto Cicutto, “dopo che in quest’ultimo, travagliato periodo sono cambiati quattro ministri della cultura, ora urge la volontà politica di sistemare le cose. In termini strategici, invece, si potrebbe partire dal fatto che gli attuali 21 teatri di posa sono troppi per la produzione: potremmo affittarne meno a Cinecittà Studios e occupare i restanti con attività culturali come la formazione, la mostra e magari il Museo del cinema italiano invocato dal ministro”. Luigi Abete, azionista degli Studios insieme – tra gli altri – a Diego Della Valle e Aurelio De Laurentiis, conferma che “si gira poco nei teatri di posa e che il potenziale produttivo del cinema nostrano è molto basso. In quattro anni sono entrati solo 3 milioni e mezzo di euro con circa 20 film”. E mentre i costi dell’affitto sono stati agevolati e ridotti a 7 milioni di euro l’anno, a gennaio scade il contratto di solidarietà dei lavoratori: “una delle soluzioni – suggerisce Abete – è cercare di richiamare il cinema internazionale. Ma le criticità attuali sono almeno tre: quella di mercato, per cui si intravedono segnali positivi; quella della necessità di ristrutturazione, la cui risoluzione dipende in buona parte dalla risposta della Rai; e il costo del lavoro, che per il momento resta senza soluzione”. E se, per voce di Nicola Borrelli, “il ministero guidato da Franceschini sarebbe disponibile a farsi carico di eventuali problemi occupazionali”, secondo il rappresentante dei lavoratori Massimo Corridori “sembra di essere tornati indietro di due anni e di non vedere margini per andare avanti. Dopo 17 anni di gestione privata constatiamo un fallimento, sia rispetto all’appeal degli Studios per il mercato, sia sul fronte occupazionale”.
Le buone notizie sono che nelle prossime settimane i teatri di via Tuscolana ospiteranno tre grosse produzioni: la serie Sky su Diabolik, Christ the Lord e, probabilmente, il remake di Ben-Hur. E che, secondo Corridori, “nonostante tutto, le maestranze di Cinecittà sono ancora in grado di garantire lavoro e professionalità ai massimi livelli”. In attesa di conoscere la loro sorte, quando nelle prossime settimane si farà luce sul piano di rilancio (soprattutto in base alla capacità di reazione di mamma Rai), i lavoratori fanno una proposta: “Mettiamo in stand-by per tre anni il progetto edilizio e riuniamo intorno a un tavolo tutti i soggetti interessati, compresi quelli creativi, per definire un futuro luminoso degli studios di Cinecittà”.
"Una pellicola schietta e a tratti brutale - si legge nella motivazione - che proietta lo spettatore in un dramma spesso ignorato: quello dei bambini soldato, derubati della propria infanzia e umanità"
"Non è assolutamente un mio pensiero che non ci si possa permettere in Italia due grandi Festival Internazionali come quelli di Venezia e di Roma. Anzi credo proprio che la moltiplicazione porti a un arricchimento. Ma è chiaro che una riflessione sulla valorizzazione e sulla diversa caratterizzazione degli appuntamenti cinematografici internazionali in Italia sia doverosa. È necessario fare sistema ed esprimere quali sono le necessità di settore al fine di valorizzare il cinema a livello internazionale"
“Non possiamo permetterci di far morire Venezia. E mi chiedo se possiamo davvero permetterci due grandi festival internazionali in Italia. Non ce l’ho con il Festival di Roma, a cui auguro ogni bene, ma una riflessione è d’obbligo”. Francesca Cima lancia la provocazione. L’occasione è il tradizionale dibattito organizzato dal Sncci alla Casa del Cinema. A metà strada tra la 71° Mostra, che si è conclusa da poche settimane, e il 9° Festival di Roma, che proprio lunedì prossimo annuncerà il suo programma all'Auditorium, gli addetti ai lavori lasciano trapelare un certo pessimismo. Stemperato solo dalla indubbia soddisfazione degli autori, da Francesco Munzi e Saverio Costanzo a Ivano De Matteo, che al Lido hanno trovato un ottimo trampolino
Una precisazione di Francesca Cima
I due registi tra i protagonisti della 71a Mostra che prenderanno parte al dibattito organizzato dai critici alla Casa del Cinema il 25 settembre