VENEZIA. L’amore non sembra un tema particolarmente in voga in territorio documentaristico, benché esso costituisca un elemento rilevante delle nostre esistenze reali, che tutti possiamo esperire, e sia forse antropologicamente parlando il tema più universale che esista.
Il poetico ed elegante film Frammenti di un percorso amoroso di Chloe Barreau – riecheggiante il romanzo ‘Frammenti di un discorso amoroso’ di Barthes a cui a sua volta si ispira il film L’amore secondo Isabelle, con Juliette Binoche – a Venezia alle Giornate degli Autori, si propone come opportunità per esaminare il proprio passato sentimentale, avviando una riflessione su sfide e ispirazioni legate alla memoria. Il percorso personale plasma ciò che siamo come amanti nelle diverse fasi della vita.
“Siamo la somma dei nostri amori”, commenta la regista, che qui si è esposta in prima persona intervistando – anche se non direttamente – i suoi ex per ricostruire la loro versione dei fatti, il tutto unitamente a una fitta documentazione video-fotografica che lei stessa ha raccolto negli anni.
“Sono una grande innamorata – dice – si può dire che l’amore sia stata la mia attività principale, non ho nemmeno propriamente una carriera. Il mio modo di amare era fotografare, guardare, registrare, forse ero già una regista inconsapevole, ma non avevo una vera ambizione cinematografica. Amavo gli home movie, lavoravo su repertori privati, avendo avuto una vita amorosa ricca e diversificata ho pensato che fosse interessante condividerla perché lo spettatore avrebbe potuto identificarsi”.
Con scopi terapeutici, viene de chiedersi?
“Non era questa la motivazione – spiega Barreau – ma in effetti il cinema permette di riappropriarsi delle proprie storie. Ho scoperto alcune cose, altre le ho capite, quando toccavo argomenti difficili, scomodi, dolorosi o imbarazzanti come persona mi sentivo urtata ma come regista pensavo che andavano bene per il film. Un film semplice, con ordine cronologico, perché è quello in cui viviamo – e inoltre mi ha permesso di dare a ciascun ex il suo specifico spazio – che pur essendo un film d’autore fosse adatto a un grande pubblico. La narrazione, il montaggio, la musica, sono enfatici. Del resto mi occupo di montare trailer. E ho scelto di non intervistare direttamente i miei ex perché da un lato non volevo essere una presenza ingombrante per lo spettatore, dall’altro volevo spingerli ad aggiungere dettagli alle storie che non avrebbero raccontato se ci fossi stata io, che ovviamente le conoscevo. Li ho contattati con una lettera, specificando che sarebbero stati liberi di dire ciò che volevano e che io non sarei stata presente. Ma mi sono riconosciuta in tutte le loro interviste, e in alcuni casi, guardandole, ho pianto. Con un ragazzo che proprio non voleva parlarmi, e che ha rifiutato di partecipare, ho poi recuperato il rapporto. Mi aspettavo il contrario. Sono riconoscente e mi sento fortunata”.
La dolce malinconia è un elemento che pervade molto la pellicola: “Victor Hugo – conclude la regista – diceva che la malinconia è la felicità dell’essere tristi. La memoria per me è importante, sono un’amante di Proust e mi sono laureata con una tesi su ‘Le relazioni pericolose’, di qui il fascino per le lettere. Potrei innamorarmi di una calligrafia”.
Intervista al regista e sceneggiatore Stefano Sollima, e agli attori Pierfrancesco Favino e Gianmarco Franchini
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