Chiara Caselli: da Costanza d’Altavilla a Molly Bloom


C’è anche Chiara Caselli tra le Donne di Sicilia protagoniste del film di Manuel Giliberti, sul set a Melilli, vicino Siracusa. Affianca, tra le altre, Piera Degli Esposti nel racconto di cinque figure femminili siciliane che con le loro storie impersonano i caratteri fondamentali della Trinacria: caparbietà, fierezza, intelligenza.
L’affascinante attrice bolognese, con cui CinecittàNews ha parlato in esclusiva, incarna un ruolo “storico”: è Costanza d’Altavilla, figlia postuma di Ruggero II re di Sicilia e madre di Federico II di Svevia. Deve ancora girare la sua parte, ma è già calata dentro e preparatissima.

Ci presenti il suo personaggio. Chi è Costanza?
Per me, è innanzitutto un ruolo meraviglioso. Figlia del primo grande re normanno di Sicilia, un sovrano illuminato. Curiosando, ho letto che alla sua corte tutti i funzionari erano obbligati a studiare il greco, il latino e l’arabo. In tempi come questi, fa specie pensare quanto il potere desse importanza alla cultura. Convivevano tre mondi e tre etnie: la giudaica, l’araba, la cristiana, in grande armonia. Costanza nasce quando il padre è già morto, ma è comunque figlia della sua cultura. Inizialmente voleva andare in convento ma poi, per questioni d’interesse, è costretta a sposare Enrico VI di Svevia figlio di Federico il Barbarossa. Viene da riflettere su come a quel tempo tutte le donne, dalle più umili alle più nobili, fossero trattate come merce di scambio. Lui diventa imperatore, lei imperatrice. Ma il mondo di Federico è ben diverso da quello che lei conosce e ama. Suo marito è brutale e violento, un prevaricatore. Lei ha 40 anni, a un’età davvero insolita per l’epoca partorisce suo figlio, che diverrà Federico II. Per molti era impossibile che una donna di quell’età potesse davvero dare alla luce un bambino, per cui lei partorisce in piazza, davanti a tutte le donne, per dimostrare che il figlio era davvero suo e che esisteva veramente. Enrico VI muore in circostanze misteriose, forse avvelenato dalla stessa Costanza. Lei resta sola con il figlio di 4 anni. Poi si ammala anche lei. Anche le circostanze della sua scomparsa sono oscure. Se ne va a distanza di un solo anno dal marito. Forse per ucciderlo ha dovuto assaggiare anche lei un po’ di veleno, chissà. Fatto sta che con grande lungimiranza per il futuro del figlio, che era la sua unica fonte di potere e che aveva cresciuto secondo i criteri culturali che le appartenevano, per evitare che fosse ucciso, lo manda a Roma, dal papa, che pur essendo un acerrimo nemico di suo marito non poteva certo mettere a morte un erede al trono. Lei muore proprio in concomitanza del viaggio verso Roma, appena prima della partenza, o durante il viaggio stesso.

Cosa l’ha stimolata maggiormente della figura di Costanza?
E’ un’imperatrice pienamente cosciente della propria importanza. Una donna di potere, ma sola e circondata. C’è una scena in un bagno turco che ci fa capire subito chi è. Ha un rapporto ambiguo con una sua domestica, da cui deduciamo che è stanca, ma ancora piena di vita. Poi sale sul terrazzo dove deve dettare al cerimoniere di turno la messa per suo padre. Dirà invece la sua verità. E’ un personaggio ricco di sfumature e con una grande ampiezza di registri: dalla tenerezza e la dolcezza al duro esercizio del potere imperiale.

Come si è preparata ad interpretarla?
Molto materiale mi è stato inviato dal regista, Manuel Giliberti. E poi oggi troviamo in internet una grande risorsa. Tutto a disposizione con un click, a partire da Wikipedia, da prendere con le pinze ma comunque un’ottima base. A me comunque non serviva una fonte precisa al dettaglio. Sarà Manuel a dare la sua visione, perché le cronache non dicono molto del carattere umano del personaggio, che per noi è invece il punto di principale interesse. Chiaro che un film, anche se d’impronta storica, non è un bignami. Cerchiamo la persona nel personaggio, e come attrice lavoro sull’uso della voce, sulla postura. Lo sforzo sta nel cercare di ricreare qualcosa – il potere smisurato e incondizionato – che noi “comuni mortali” non possiamo conoscere.

Ultimamente, con “Il padre dei miei figli” di Mia Hansen – Love, lei ha avuto un’importante esperienza nel cinema francese…

Viaggiare in una terra straniera è sempre molto affascinante, ma questo capita anche spostandosi da una regione all’altra dell’Italia. Per esempio, la Sicilia la conosco pochissimo, e sono felice di poter vedere – per quello che mi permetteranno i tempi di lavorazione – la città di Siracusa. Ma più in generale, l’incontro con ciascun nuovo regista è un viaggio in un mondo altro. Con Mia è stato un caso particolare, il budget era molto alto. Mia usa dare molti ciak, e questo significa fare molti straordinari. Ma la produzione ha accettato perché sapeva che altrimenti il risultato finale ne avrebbe risentito. Un caso di perfetta unione tra artista e produzione. Non è che in Italia manchi la volontà: i produttori e i registi sono ugualmente appassionati. Purtroppo sono i budget a essere molto più ristretti.

Quali sono i suoi prossimi progetti?
Ce ne sono due a cui tengo particolarmente. Sono anche una fotografa, e il primo riguarda proprio questo ambito del mio lavoro. Quest’estate ho avuto l’onore di una personale al Castello Svevo di Bari, curata dalla grandissima Marilena Bonomo. Da giugno a fine agosto sarò invece ospite al Museo di Arte Moderna di Mantova. Sarà una collettiva, ma con molto spazio e delle sale davvero ampie. Poi c’è il teatro, con Molly Bloom, il 22 e 23 gennaio al Kismet di Bari, di cui ho curato anche adattamento e regia. Debutterò inoltre a Roma a marzo, all’Eliseo, con Se non ci sono altre domande, una pièce scritta da Paolo Virzì con Silvio Orlando e altri 15 attori tutti meravigliosi.

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16 Dicembre 2010

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