PARIGI – Il polar è un genere fondante del cinema francese, anche se negli ultimi tempi piuttosto trascurato. A cercare di riportarlo in auge ci pensa il giovane Cédric Jimenez che in French Connection racconta la sfida di un giudice appena arrivato a Marsiglia, il premio Oscar Jean Dujardin, al potente sistema mafioso che gestisce il mercato della droga in Europa e perfino negli Stati Uniti. A guidare il traffico illegale il boss Zampa, interpretato dal sodale di Dujardin, Gilles Lellouche. Una sfida avvincente e realmente accaduta nella Marsiglia fra anni ’70 e ’80. Ne abbiamo parlato a Parigi con un Jimenez pieno di entusiasmo, con l’accento strascicato del sud della Francia e pronto a gesticolare e a schioccare le dita per aiutarsi a comunicare l’energia del suo French Connection da giovedì 26 marzo nelle nostre sale con Medusa.
Come mai ha voluto raccontare questa storia oggi?
È una vicenda che conosco da tanto tempo. Sono cresciuto a Marsiglia, mio padre gestiva una discoteca e conosceva molto bene il clan Zampa e lo scontro con il giudice ha creato grande sconvolgimento in città. Crescendo sentivo che i miei parenti ne parlavano e rimanevo affascinato da questa grande storia. La volevo raccontare da sempre, poi se risulta attuale è per il fatto che viviamo in una società che ha bisogno di eroi come il giudice Michel, che non ha paura di scuotere le istituzioni o di affrontare la mafia, che prospera grazie alla paura. Lo abbiamo visto anche con i fatti di Charlie Hebdo. Il messaggio era ‘non ho paura’ e il giudice nel film lo rappresenta bene.
Ha incontrato la famiglia del giudice Michel?
No, li ha incontrati il produttore, mentre la famiglia Zampa la conosco da tanto tempo, da quando ero piccolo, li ho visti a maggior ragione facendo il film. Poi ho incontrato un numero enorme di persone vicine ai due, poliziotti o giudici, ma anche gangster, per essere fedele alla storia reale, adattandola al mio punto di vista. Facendo leggere la sceneggiatura e vedere il film alle due famiglie ho avuto reazioni diverse. La famiglia Zampa ha reagito molto positivamente da subito, mentre la famiglia Michel si è stranamente svegliata appena prima dell’uscita criticandolo, mesi dopo averlo visto. Lo posso capire, non amerei neanche io che facessero un film su mio padre. Detto questo, una volta che decido di farlo devo avere il mio punto di vista.
Marsiglia è un personaggio molto importante del film.
Naturalmente la conosco bene, ci sono nato e cresciuto. È stato bello trovare i colori, gli attori, i volti marsigliesi che erano indispensabili all’identità del film. Poi conoscere tutto di quella città, i piccoli dettagli, ti aiuta a raccontare un’atmosfera, senza dovertela inventare o ricostruire. Sapevo subito se una cosa funzionava o meno in quel posto specifico.
Il polar è un genere classico del cinema francese, ma ci sono anche riferimenti al grande cinema di mafia americano e italiano
Sicuramente. I polar degli anni ’70 sono fantastici, tutti li conosciamo e amiamo. Ma non ho avuto come riferimento dei titoli in particolare, ma quel genere in senso ampio. Scorsese, De Palma, Coppola o autori francesi come Henri Verneuil e Claude Sautet e naturalmente anche il cinema italiano. Volevo che il pubblico si immergesse nella storia, in modo che lo spettatore vivesse le emozioni in contemporanea con i personaggi, mai un attimo in anticipo o in ritardo, che fosse un’esperienza molto organica, con la camera a spalla, inquadrature ravvicinate e magari mosse.
Nel film ci sono dei momenti di intimità all’interno delle famiglie dei protagonisti e altre all’aria aperta, con la luce forte, il mare e la verticalità di una città come Marsiglia che piomba sul Mediterraneo. Come ha trovato un equilibrio fra il lato familiare e quello più spettacolare?
È un lavoro che abbiamo fatto in sede di scrittura, quello di entrare nelle case. Ho la sensazione che non si possano conoscere meglio le persone che nella loro intimità. Avevo bisogno di questi due aspetti per rendere i due personaggi più complessi. La scena più importante del film è quando si incontrano i due: il giudice vuole cambiare le cose e il mafioso gli risponde che tanto il mondo è marcio e niente cambia. Purtroppo ci sono più Zampa che Michel, per questo il giudice è un eroe; ma Zampa è un uomo come un altro. Per questo avevo bisogno dell’intimità, per dimostrare che anche uno spacciatore di droga è come noi e che anche un giudice può essere un po’ folle. Non volevo essere manicheo.
Un protagonista del polar francese come Jean Paul Belmondo è stato sul set. È vero? Quasi un passaggio di testimone con Jean Dujardin?
Sì, è vero. Dujardin non ama questo paragone e lo capisco. L’obiettivo non è passarsi il testimone, ma fare qualcosa di personale. Effettivamente Jean Dujardin adorava da ragazzino Jean Paul Belmondo. Detto questo ognuno dei due ha le proprie caratteristiche, ma dal punto di vista simbolico lo si può anche considerare un passaggio di testimone nel cinema francese, dove si fanno sempre più commedie e le star sono gli attori comici. Sono finiti i tempi in cui le celebrità del cinema come Belmondo, Delon o Trintignant avevano forti personalità. Rispetto le commedie, ma se devo impegnare due anni della mia vita, voglio farlo per sfogare la mia collera e non per far ridere. Credo che la gente non pianga e non si indigni abbastanza. Ma è una cosa personale, i miei amici Toledano e Nakache, autori di Quasi amici e dell’imminente Samba, credono che sia invece super importante regalare alla gente delle risate.
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