“Se avessi avuto successo come attore, I predatori non sarebbe esistito. Per scrivere un film ci devono essere sentimenti autentici, una voglia di raccontare che nasce dalla rabbia. Quando le cose vanno troppo bene, la rabbia magari rimane ma è stupida”. Così Pietro Castellitto, regista filosofo – devoto a Friedrich Nietzsche – e autore all’opera prima. Dopo il premio per la sceneggiatura vinto a Orizzonti (leggi l’articolo), approda ad Alice nella città e quindi in sala dal 22 ottobre con 01 Distribution. E se è vero che “questo lavoro è un’altalena” e che essere doppiamente figlio d’arte – il padre Sergio, la mamma Margaret Mazzantini – può anche avere i suoi lati negativi, adesso la sua carriera è decisamente decollata. C’è un passaparola positivo attorno a questo film e tanta attesa per la serie Sky che lo vedrà nei panni di Francesco Totti, Speravo de morì prima, in onda nel 2021.
“E’ un un momento un po’ disorientante – commenta Pietro -: è arrivato tutto insieme, ma l’importante è cercare di mantenere viva quella rabbia che nutre la voglia di raccontare”. Una rabbia che nel film diventa esplosiva – letteralmente – nel personaggio di Federico, interpretato dallo stesso Castellitto jr.
Figlio insoddisfatto e frustrato di un affermato medico (Massimo Popolizio) e di una regista dispotica (Manuela Mandracchia). Famiglia borghese, ricca e annoiata, tra isterismi e scherzi atroci, che incrocia il suo percorso con i Vismara, venditori di armi (anche illegali) e neofascisti, un sottobosco criminale e survoltato in quel di Ostia. Nessuna vittima, se non i più piccoli, perché nel film tutti sono predatori, sia i fascisti che i radical chic. “Non è un film di redenzione politica – spiega il 28enne autore – i fascisti che descrivo sono colorati, come gli animali che avvertono gli altri di essere velenosi. Ma questa è piuttosto la storia di una famiglia borghese che incontra una famiglia proletaria. Negli anni ’20 non me lo avrebbero fatto fare, ma oggi i film antifascisti si possono fare e non smuovono nulla”.
Scritto a 22 anni – un copione a lungo nel cassetto, un po’ come accadde ai Fratelli D’Innocenzo con Favolacce – I predatori ha un tono cinico e disincantato, a volte si ride ma a denti stretti, nel descrivere quell’umano troppo umano che quasi sempre sfocia nella follia se non nella violenza. “Per me – continua Castellitto – quella sceneggiatura era una sorta di contenitore per esprimere tante cose. Del resto, le opere prime sono dei testamenti. Dentro c’è quello che avevo vissuto, gli ambienti che avevo frequentato, il mare di contraddizioni che avevo percepito, mi sembrava naturale mischiare i generi e le situazioni”. E c’è anche un tot di autobiografico: “Un 35% – scherza Pietro – nel personaggio di Federico, con quel confine tra gentilezza e nervosismo. Lui ha alcune mie idiosincrasie, una certa alienazione, ma io so mimetizzarmi meglio”.
Un omaggio alla famiglia con la presenza della sorella Maria – anche nella locandina – nei panni della cugina che affida a un rap poco ortodosso il suo disprezzo per il parentado riunito a tavola facendo il gesto del dito medio con entrambe le mani (a scanso di equivoci). Invece Pietro non ha voluto suo padre nel cast, rigorosamente.
Il debutto alla regia è avvenuto grazie all’incontro con Domenico Procacci produttore di un film da lui interpretato, L’armadillo. In Italia è più difficile che altrove debuttare? “Credo che sia così dappertutto, anche Xavier Dolan si lamenta dei produttori canadesi. In Italia paradossalmente è meglio, non devi fare i conti con giovani geniali, i film si assomigliano tutti, quindi è facile che un prodotto appena appena originale risulti geniale. Ci sono pregiudizi e difetti che ci si tramanda, regole folli. Le ho rotte tutte, per ignoranza”.
Un cast originale anche inconsueto, molto teatrale, con Giorgio Montanini, Anita Caprioli, Giulia Petrini, Dario Cassini, Mara Ubaldi e Antonio Gerardi. E Vinicio Marchioni nel ruolo di un deus ex machina mefistofelico, venditore di orologi e principe, è lui che porta una nuvola di distruzione. “Ho cercato gli attori giusti per i personaggi e ci siamo svincolati dai soliti nomi”. C’è un sapore morettiano nel personaggio di Federico? “Quando un giovane scrive, dirige e recita, si pensa subito a Nanni Moretti…”.
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