Cartoline da Tokyo


Tokyo International Film FestivalTokyo International Film Festival. Uno dei festival più importanti nel mondo forse il più importante dell’Estremo Oriente. Quale amore è in concorso, unico film italiano. La presentazione del film, nel sito del Festival parla di film “diretto con sofisticata attenzione ai dettagli”, di set “tra i più ricchi e opulenti dai tempi di Visconti“….
E’ con questo fardello sulle spalle che mi preparo a partire. Questa volta il viaggio mi spaventa, mi spaventa l’impatto con un pubblico che non conosco, e che nulla sa di noi italiani che siamo venuti un po’ dopo Rossellini, Fellini, ecc… Parto con Alessandra, mia moglie, per testimoniare che nel film non c’è nulla di autobiografico. E con Matteo Sapio, il corrispondente di Rai Trade che ha organizzato lo sbarco in Giappone. Profondo conoscitore del paese e della sua lingua. Fatto non trascurabile.

In aereo, lettura della guida. Dice che in Giappone non è educato soffiarsi il naso. E come si farà? Matteo conferma e aggiunge: “Si tira su!”. Sconcerto!

La direttrice della programmazione, che ha voluto il film a tutti i costi, è una delle prime persone che conosciamo, all’arrivo a Tokyo. Grazie all’ottimo lavoro di Rai Trade, grazie alla intelligente dedizione di Matteo Sapio, la presenza italiana è una delle più riverite (si parla sempre di
giapponesi, no?) al festival. Grandi inchini, poche parole in italiano, ma grandi sforzi di comunicazione.

Il festival è anche lavoro. Si parte subito per l’incontro con un grande distributore giapponese. Open space, trenta persone al lavoro… E un silenzio di tomba, rotto soltanto dai nostri saluti al “grande capo”. Matteo sibila: “Ce li hai i Maurizio e Alessandra Sciarrabiglietti da visita?”. “Tranquillo. Sì”. Saluti deferenti, il distributore impugna il suo biglietto da visita, con due mani, lo imito, ce lo scambiamo, io metto il suo in tasca… “Che fai? Mettilo sul tavolo!!!!”. Terrorizzato, lo rimetto fuori e lo poggio davanti a me, seguendo il dito imperioso di Matteo. Dopo mi dirà che è mancanza di rispetto mettere via il biglietto dell’ospite. Va guardato e tenuto tra le mani o sul tavolo finché non finisce il colloquio. Siamo in Giappone.
Conferma!

Il festival è di quelli in cui ci si conosce. E grazie a Matteo, al suo amico/socio Endo e ai Fratelli Vattani dell’Ambasciata italiana, diventiamo punto di riferimento per un gruppo di israeliani (produttore, regista e finanziatore del film Forgiveness), di russi (una famiglia allargata di produttori, registi, interpreti, giornalisti, parenti del film Graffiti), danesi (regista e moglie, attore e moglie del film The art of crying). Con loro stringeremo una bella amicizia, che ci porterà a progettare lavori in comune e sognare un festival tutto nostro. Dove potremo vincere i premi soltanto noi…

Io e Alessandra decidiamo di vedere Kyoto. Ci imbarchiamo sullo Schinkanzè e a 350 km orari raggiungiamo Kyoto in due ore e qualcosa. Il treno arriva e riparte da ogni stazione in perfetto orario, sosta soltanto un minuto, le porte si fermano esattamente davanti ai varchi previsti per la discesa. Io e Alessandra ci guardiamo negli occhi: “Non ce la faremo mai!!!!”. Kyoto è splendida, ci sono giardini che sembrano un insieme di bonsai cresciuti a grandezza normale. Ogni albero ha una forma, è al posto giusto, anche i funghi crescono dove stanno bene e hanno un senso. I giardini zen che vediamo mi fanno ripensare sul mio mostriciattolo da scrivania… A Kyoto si parla di meno in inglese, e Matteo non c’è. Però ce la caviamo lo stesso. Siamo fieri di noi.

Si ritorna in tempo per prepararci alle proiezioni. Ma la comitiva si è consolidata. Sono bastati due giorni di assenza per ritrovarli scatenati come un gruppo di liceali in gita scolastica. La sera ci ritrova tutti stipati in un karaoke. I russi vorrebbero cantare canzoni italiane. Io penso a “O sole mio”. Loro invece conoscono a memoria tutto Gianni Morandi e Celentano. Ne hanno visto anche tutti i film… Dopo il karaoke è prevista la visita al mitico mercato generale del pesce, che apre alle 4 e mezzo. Mi ritiro in buon ordine. Il dovere mi chiama.

E mi ricordo che sono spaventato. Come andrà? Capiranno? E’ troppo occidentale?

Il direttore del festival è anche grande produttore e distributore giapponese. Schiere di suoi dipendenti si alternano alle proiezioni del film, perché in fondo qui si fanno anche affari, per un mercato che è grande ed attento. Matteo mi dice che abbiamo speranze di trovare una
distribuzione. Il film viene proiettato per due volte, e ci sono oltre 1.500 spettatori che lo guardano. Risulterà essere il secondo film del festival, per spettatori. Caso strano per il pubblico giapponese, molto riservato, riceve lunghi applausi alla fine. Nella proiezione principale, addirittura per sei minuti!
Barista cinefilaC’è perfino il produttore di Kurosawa e Oshima, Masato Hara, sguardo imperscrutabile e cannello di ossigeno al naso, che alla fine si scioglie, e viene a complimentarsi con me, a chiedere notizie di attori che gli sono piaciuti…
Le domande del pubblico si susseguono immediatamente. Attente, intelligenti, profonde, curiose. Sì, il film è piaciuto, e anche molto, mi sembra. Mi rilasso. Riesco ad essere addirittura spiritoso. I giapponesi ridono!

Certo, nessun premio. Va detto che aleggia un certo “conflitto di interessi nel festival. Il film di chiusura è prodotto dal direttore del festival. Il primo premio è andato a un film francese, premiato con calore dal presidente della giuria, il francese Jeunet, ed un altro importante premio va al film americano Miss Sunshine, premiato dal giurato americano e distributore del film sig. Mechanic. E il giurato italiano, Marco Muller, è stato “particolarmente fiero” di premiare il film cinese che tutti prevedibilmente avevano pensato gli sarebbe piaciuto… Alla festa finale, quasi scusandosi, mi dirà: “Sai ero solo…” Siamo tutti soli su questa terra, no??? Il produttore russo, alla fine della votazione mi dice: “Adesso ho capito. I francesi amano i film francesi, gli americani gli americani, gli italiani no…” La cena che segue, l’ultima tutti insieme è però molto divertente. Udi, il regista israeliano fa mente locale “We are the losers!!!” Partono brindisi molto rumorosi per un ristorante giapponese!!!

Poi la partenza. Con molti di loro rimarremo in contatto, con il produttore israeliano c’è il progetto di trovare un partner italiano per un film che lui girerà in Italia… I danesi hanno dei parenti a Milano, che io inviterò alla prima del film…

L’istituto Italiano di Cultura ha organizzato un’altra proiezione del film. L’Istituto ha sede in un palazzo disegnato da Gae Aulenti, con la facciata rossa, contro cui si sono scagliati i nazionalisti giapponesi perché il rosso è il colore dell’Imperatore. L’auditorium ha 400 posti e sono tutti pieni. Soprattutto di giapponesi, e questo mi fa piacere. Il dibattito è anche qui acceso. C’è qualcuno che domanda se Vanessa allattava realmente il bambino nel film. Devo deluderlo e parlare di trucchi cinematografici.

La sera c’è il pellegrinaggio wendersiano. Un baretto minuscolo immortalato in Tokyo ga. La proprietaria è una grande cinefila. E l’invito per la proiezione del mio film diventa, autografato, parte dell’arredamento. Insieme a manifesti famosi e firme di Tarantino e Wenders…

Si riparte. Un po’ di delusione per non aver vinto. Del resto sono competitivo, e se si va in competizione… Ma ai festival ci si va per far vedere i propri film, per conoscere nuove persone, per incontrare nuovi pubblici. Non soltanto per vincere!!!!

E’ con un animo diverso che mi appresto adesso alle fatiche del lancio del film in Italia. Forte del fatto che un pubblico così distante dal nostro l’ha amato e apprezzato, perché lo ha sentito sincero e toccante.

07 Novembre 2006

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