“Ci mancheranno il tuo rigore, la tua intelligenza e la tua ironia, ‘ma comunque andiamo avanti’ come un tuo intercalare ostinato recitava”. Giuseppe Tornatore saluta così la scomparsa di Francesco Rosi durante la camera ardente alla Casa del Cinema che ha ospitato il feretro presidiato da due corazzieri e sul quale poggiava l’immancabile coppola del regista. Nella sala grande scorrono intanto le immagini di set e di vita dell’autore scomparso all’età di 92 anni, accompagnate dalla colonna sonora dei suoi film, le composizioni di Piero Piccioni, mentre Giorgio Gosetti accoglie i partecipanti.
In prima fila la figlia Carolina e il fratello Massimo, il capo dello Stato Giorgio Napolitano e lo scrittore Raffaele La Capria, amici di Rosi fin dai tempi in cui a Napoli frequentavano il liceo Umberto, il presidente del Senato Pietro Grasso,il ministro Dario Franceschini, il vicesindaco di Roma Luigi Nieri e il governatore Nicola Zingaretti.
Quella frase ossessiva di Rosi, ‘ma comunque andiamo avanti’, riferita anche alle sorti dell’Italia, per Tornatore non esprimeva rassegnazione, ma rabbia malinconica: la consapevolezza che è possibile trovare una soluzione, avendo fiducia nell’uomo.
“Venimmo giovani da Napoli a Roma senza nessun appoggio, ognuno con un proprio sogno – ricorda commosso La Capria – Antonio Ghirelli divenne giornalista, Giuseppe Patroni Griffi regista di teatro, io scrittore e c’è chi è diventato anche presidente della Repubblica. Insomma siamo stati una generazione fortunata”. L’attualità del suo cinema? I suoi film raccontano una democrazia malata, dopo De Sica e i grandi del neorealismo Rosi è andato oltre un certo sentimentalismo sociale, rivelandosi un indagatore spietato della società.
Ettore Scola, ironico come sempre, ricorda la puntigliosa serietà del ‘professore’ Rosi, nel senso che voleva che ogni cosa fosse fatta bene. “Come quella volta che sul set di Carmen mostrò al famoso ballerino Antonio Gades come eseguire un passo di danza, cadendo e rimanendo per un po’ bloccato”. E Scola cita poi un libro dell’intellettuale e diplomatico Gilles Martinet, su quegli ‘italianissimi’, da Pasolini a Fellini fino a Rosi, che hanno saputo raccontare il nostro Paese, dandogli un’identità.
“Il suo cinema ci ha riscattato dall’umiliazione di considerare il nostro paese vittima perenne della corruzione e del crimine. Nei suoi film – afferma il giornalista Furio Colombo – c’è il coraggio di chi si oppone all’abdicazione delle leggi e all’elusione delle regole, di chi racconta quelle storie mentre accadono: da Il caso Mattei a Le mani sulla città”. Per il fratello Massimo, Franco era un discendente diretto di Vico e Croce, “due simulacri della ragione ma calati nei fatti e nella realtà”.
Il regista Roberto Andò, che ha raccontato nel 2002 la carriera di Rosi nel documentario Il cineasta e il labirinto, lo omaggia come “poeta e civilizzatore”, Marco Tullio Giordana lo considera “un innovatore e insieme un grande classico”. In chiusura della cerimonia civile la figlia Carolina legge una lettera scritta poco prima della sua morte: “Avrei voluto esserti vicina ancora come aiuto regista, Il tuo profondo senso della giustizia, l’amore per la verità, il tuo non essere mai sceso a compromessi, mi hanno fatta diventare quella che sono, fiera di essere almeno un po’ una piccola parte di te. Mi mancherai tanto, io che tutta la vita ti ho chiamato Franco, ora non riesco che a chiamarti papà”.
Alla fine l’applauso partecipato dei tanti presenti, cittadini comuni a fianco di volti noti quali: Franco Zeffirelli, Citto Maselli, Stefano Rulli, Liliana Cavani, Lina Wertmuller, Roberto Cicutto, Adriana Chiesa, Marco Pontecorvo, Paolo Sorrentino, Francesco Bruni, Luca De Filippo,Marco Risi, Enrico Lucherini, Giuliano Montaldo, Gianfranco Pannone, Michele Placido, Emanuele Macaluso, Luciana Castellina, Gianni Riotta, Paolo Villaggio, Nicola Piovani, Aurelio De Laurentiis, Piero Maccarinelli, Laura Delli Colli, Maurizio Sciarra, Caterina D’Amico, Roberto Perpignani, Zeudi Araya, Ugo Grgoretti.
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