VENEZIA – “Il tempo è la cosa più bella del cinema. Come diceva Tarkovskij fare cinema è scolpire col tempo”. E Nuestro tiempo è il titolo del sesto film di Carlos Reygadas, habitué di Cannes che Venezia è riuscita ad avere in concorso con una nuova opera meno provocatoria ed estrema delle precedenti Battaglia nel cielo e Post tenebras lux ma comunque interessante per la ricerca compiuta dal cineasta di Città del Messico. Con una durata di quasi tre ore e lunghi momenti di osservazione della natura, dei giochi dei bambini e dell’allevamento dei tori da combattimento, Nuestro tiempo si concentra sul tema della coppia aperta e del controllo esercitato da un partner sull’altro. E il film è interpretato – cosa non casuale benché il regista neghi – dallo stesso Reygadas e dalla moglie Natalia Lopez – regista, montatrice e produttrice – oltre che dai loro figli.
Siamo in un grande ranch dove vivono Juan, poeta di una certa notorietà internazionale, e sua moglie Ester, che si occupa dell’allevamento. Stanno insieme da molti anni e hanno sempre ammesso incontri sessuali fuori dalla coppia, ma ora che Ester si è invaghita dell’americano Phil, un cowboy di passaggio, Juan comincia a essere sempre più geloso e paranoico. Sostiene di sentirsi prevaricato perché la donna tiene per sé questa storia, mentre lui vorrebbe sapere tutto, anzi essere lui stesso a manovrare il gioco.
“Il mio cinema non serve a raccontare una storia o trasmettere delle informazioni – spiega il 47enne Reygadas – rivendicando appunto lo stile aperto della narrazione. Che potrebbe apparire autobiografica o comunque molto personale.
“Recitando per la prima volta in un mio film ci ho guadagnato in ritmo mentre ho perso qualcosa in termini di controllo – spiega – ma voglio aggiungere che Juan e Ester sono personaggi, quando mi filmo non sono più io, così come Natalia non è più Natalia. Abbiamo fatto molti provini per i due ruoli, poi a due settimane dalle riprese abbiamo capito che potevamo essere noi gli interpreti. Non credo nella privacy e non ho nessuna paura di mostrarmi nudo o in camera da letto, il fatto che siamo noi gli attori è totalmente indifferente”.
Non manca una domanda sul #MeeToo e sulla penuria di registe in concorso, a cui Reygadas dà una risposta piuttosto articolata che sarebbe un peccato riassumere e semplificare. “Nel mondo ci sono molte cose sbagliate e tra queste una scarsa rappresentazione delle donne praticamente ovunque. Però bisogna anche dire che in concorso a Venezia ci sono 18 film del primo mondo, e solo tre del secondo mondo, cioè due messicani e un argentino. E c’è un solo film di cultura non cristiana, il giapponese. Niente dall’Africa, niente dall’Asia povera. Ci sono molte ingiustizie nel mondo e noi tutti dobbiamo lottare contro le ingiustizie. Però attenzione alle mode, attenzione a cambiare tutto per non cambiare niente come diceva il Gattopardo”.
Infine una battuta sui tori, molto protagonisti nel film (a loro è affidata anche la scena finale). “Sono animali bellissimi, venerati da indiani, cinesi e popoli mediterranei. Nel mausoleo di Galla Placidia a Ravenna ho visto una raffigurazione del bue come simbolo di uno dei quattro Evangelisti. Sono animali liberi, potenti e coraggiosi, molto aggressivi ma non come la tigre o lo squalo che azzannano per mangiare, loro aggrediscono per difendere il territorio”.
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