“Non mi sarei mai aspettato di durare così tanto artisticamente, certo oltre al talento occorre una buona stella e io ho avuto un dono grande dal destino. Cerco poi di dare al pubblico non lo stesso film, anche se qualche volta sono tornato indietro”. Carlo Verdone è come sempre sincero e al tempo stesso modesto mentre parla di Sotto una buona stella, la sua nuova commedia brillante e un po’ malinconica in sala il 13 febbraio in 730 copie distribuite da Filmauro.
24esimo film da regista, interprete e sceneggiatore, a cui si sommano altri 13 film solo come attore, in una carriera artistica cominciata sul set nel 1977 con La luna di Bernardo Bertolucci.
“Nasco con la commedia e finirò con la commedia, anche se credo di poter fare qualcosa di buono in film più complessi come ne La grande bellezza”.
Questa volta Verdone è un uomo in carriera, divorziato, una bella casa e una donna giovane, che improvvisamente conosce la precarietà della vita, persi il lavoro e un bel po’ di soldi nella holding finanziaria. La morte inattesa della ex moglie complica le cose. Verdone si ritrova a badare, ospitandoli, ai figli giovani, l’uno aspirante cantautore l’altra aspirante scrittrice, dopo anni di totale assenza. La casa si trasforma in un porto di mare, le tensioni si accumulano e la prima a rimetterci è la giovane convivente che se ne va, lasciando il nostro Verdone in balia degli eventi. Ma una vicina, alquanto rumorosa e ‘tagliatrice di teste’, piano piano metterà ordine nella sua vita.
Come è nata la storia di Federico Picchioni, improvvisamente nei panni di un mammo casalingo?
E’ stato un parto molto lungo dal punto di vista ideativo, che mi ha ricordato Borotalco con i suoi 12 mesi per trovare il soggetto. Io e Aurelio non riuscivamo ad essere d’accordo sul progetto. Alla fine eravamo stremati, ma lo sceneggiatore Pasquale Plastino ha recuperato un plot, pensato prima di Posti in piedi in paradiso, che ha ispirato la prima parte di Sotto una buona stella. Poi la scrittura è arrivata fluida.
Il tema centrale del suo film sembra essere innanzitutto la ricerca di solidarietà?
Siamo partiti da una famiglia dissestata, dall’incontro tra un padre e i due figli di cui si è disinteressato per anni. Poi la commedia si apre e domina la ricerca da parte di tutti i protagonisti di un abbraccio affettuoso, di una persona accanto. Sento che è un periodo di grande solitudine e forte è la richiesta di affetto e protezione.
Che c’è di autobiografico nel suo film?
Per fortuna nulla. Sono soltanto un osservatore della realtà, un pedinatore degli italiani e così racconto il periodo che viviamo. I difetti, le emergenze, le fragilità, tutti argomenti adatti a un film serio, vengono incanalati nella commedia, ma con equilibrio e misura.
Nonostante la malinconia di fondo, il finale è di speranza?
Federico decide di non decidere, ma Luisa non vuole stare sola. Il film mostra la fragilità del momento che stiamo vivendo. Il personaggio di Paola Cortellesi entra dopo che sono state narrate le mie disavventure lavorative e diventa via via il baricentro del film. E’ Luisa a fare il primo passo verso Federico, lei lo scuote. E’ una donna affidabile, generosa che lo fa resuscitare da una condizione di solitudine dopo che i figli se ne vanno.
Un film in fondo di stampo teatrale?
Sì, si svolge in due ambienti ricostruiti a Cinecittà. Sono contento di avere portato un po’ di lavoro alle brave maestranze degli Studios.
Da un po’ di tempo i suoi film sono corali.
Sono partito costruendo storie sui personaggi: il bullo di Un sacco bello, il candido di Bianco rosso e Verdone, il coatto di Troppo forte. Avevo dato tutto me stesso, il mio virtuosismo anche negli sketch televisivi. Poi è arrivato Compagni di scuola, e il produttore Mario Cecchi Gori non ci credeva: verboso, non fa ridere, non c’è un protagonista. Un’opera corale, uno dei film migliori. Aspettatevi sempre film corali, nei quali lascio il mio segno ma offro anche chance agli altri.
Come ha scelto il cast?
Con Paola non avevo mai lavorato, è un’attrice in ascesa. C’è stato feeling nei tempi recitativi, non c’è stato bisogno di dirigerla, era già nella parte. Di Tea Falco avevo notato alcune sue performance da attrice sperimentale dei primi anni ’70 e il suo accento astratto nel film rispecchia un certo modo di essere giovani. Lorenzo Richelmy è già un professionista, una promessa che viene dal Centro sperimentale. Infine Eleonora Sergio è un’amica che, nonostante il personaggio antipatico, ha dato energia alla scena.
Nel film c’è una citazione del Festival di poesia di Castelporziano, tenutosi nel 1979 sul litorale laziale. Come mai?
E’ un omaggio a quel tempo di teatrini off e sperimentazione. Io c’ero a quel festival, ho vissuto quel giorno di sabba infernale. Ricordo che una volta sul palco a Evtušenko fu chiesta una poesia su Ostia e lui atteggiandosi, con le dita sulla fronte, recitò: “Ostia, onde di preservativi”. E subito qualcuno rispose che quella era l’essenza di Ostia.
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