Una valutazione sostanzialmente positiva del convegno organizzato al Lido dal Sole 24 Ore e in particolare dell’intervento del ministro Rutelli, “un discorso a trecentosessanta gradi, che tocca le nuove tecnologie, il cinema, la televisione, l’authority”. Qualche perplessità sull’appello lanciato dalle Giornate degli Autori per i 100 + 1 film da salvare: “da ragazzino mi piaceva il guiness, ma temo che finirà a bastonate… chi stabilirà quali sono i cento film? Meglio forse sarebbe stato indicare per ogni stagione storica le opere simbolo; ma al di là delle perplessità, credo comunque che sia un’idea interessante”. Ma con Carlo Macchitella, direttore generale di Rai Cinema, oltre che autorevole saggista, vogliamo parlare soprattutto di documentari, la novità più evidente della forte presenza della società a questa 63/a Mostra. Rai Cinema porta infatti al Lido Bellissime 2 di Giovanna Gagliardo, Il mio paese di Daniele Vicari e L’udienza è aperta di Vincenzo Marra, che ha animato la prima giornata dei Venice Days con dibattiti e riflessioni su temi fondamentali della coscienza civile del nostro paese.
Macchitella, una presenza di questo tipo non può essere un caso ma piuttosto frutto di una precisa politica culturale.
Il documentario è quasi un fiume carsico nella storia del nostro cinema. Aveva una grande tradizione negli anni ’60 e ’70 ma anche agli albori della tv con immagini che hanno segnato la storia come quelle di Processo per stupro. Poi, a un certo punto è uscito di scena, se non in ambiti perimetrati con scarsa audience e scarso feed back culturale.
Poi le cose sono cambiate.
Un grande evento esterno ha posto di nuovo al centro dell’attenzione questo genere: la Palma d’oro a Cannes a Fahrenheit 9/11, che non è certo il documentario più bello, ma segna una svolta nella storia del documentarismo come elemento importante nell’analisi culturale, sociale e politica. Michael Moore ha dato un segnale anche a produttori, distributori, televisioni.
Quali sono le caratteristiche industriali che rendono oggi il documentario, entrato anche nel sistema dei finanziamenti pubblici, appetibile?
Essenzialmente tre: i costi limitati, la possibilità di toccare in modo provocatorio temi cardine della vita di un paese e il fatto che attira grandi nomi e giovani autori allo stesso modo.
Marra, Vicari e Gagliardo avranno una vita in sala, dopo l’anteprima veneziana?
Tenteremo di far uscire nelle sale Marra e Vicari, che toccano argomenti scottanti e attuali, con un numero di copie molto limitato di copie e in sale particolari, con la speranza che questo serva di traino per l’uscita video. Sta per nascere tra l’altro una collana dvd “i documentari di Rai Cinema”, che sarà inaugurata dal film sulla Shoah di Mimmo Calopresti.
Non ha citato “Bellissime 2”.
Non penso che uscirà: ha una struttura di montaggio di spezzoni tv, cinema, canzoni e interviste che non sembra adatta alla sala. Questo progetto nasce da una sfida lanciata dall’Istituto Luce con Bellissime 1, di cui comprammo i diritti per la tv qui a Venezia. Quel film terminava agli inizi degli anni ’60 e meritava un sequel per arrivare a un presente in cui le donne si sono impadronite sempre di più della vita di questo paese oltre che dell’immaginario.
Cosa state preparando per il futuro?
C’è La strada di Levi di Davide Ferrario, che andrà quasi certamente alla Festa di Roma. Ferrario ripercorre il viaggio di Primo Levi dopo Auschwitz, raccontato com’è noto nel libro La tregua, ma guardando all’Europa di oggi, che è uscita dai due grandi mali del passato, il nazismo e il comunismo. Poi abbiamo un lavoro di Alina Marazzi sull’identità della donna nel 2005; una provocazione sul Ponte sullo Stretto che parte dalla domanda: come sarebbero la Sicilia e la Calabria se fosse costruito. Infine stiamo discutendo con Roberto Faenza la possibilità di riscrivere il suo controverso Forza Italia trent’anni dopo. Allora c’era la DC, oggi sarebbe bello usare la cartina di tornasole del calcio con le sue distorsioni, le follie, gli inguacchi, ma anche i trionfi azzurri.
Qualcuno di questi documentari avrà l’onore della prima serata?
Nessuno di questi progetti può andare in prima serata tv. Ma la grande fortuna della tecnologia è che non esiste più il mito della prima serata, perché ci sono molti altri canali. Il digitale terrestre può raggiungere milioni di spettatori con prodotti alternativi. Per non parlare del video, del web, dei telefonini. Costruire prodotti per pubblici segmentati è oggi l’impegno del servizio pubblico.
Brian De Palma ha raccomandato di non guardare “Black Dahlia” sull’iPod.
Ha ragione, fa un grande cinema e sfrutta la forza del contenuto e del contenitore. In queste cose bisogna essere riformisti e non massimalisti e guardare a diversi tipi di fruizione. Tornando ai nostri film, il documentario di Giovanna Gagliardo è per chi ha il gusto dell’enciclopedia e difficilmente leggi la Treccani in treno, mentre Marra è come un bel romanzo che si può gustare anche sull’eurostar Roma-Bologna.
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