Carlo Luglio


Carlo LuglioEstate 2004. Nel quartiere napoletano di Scampia vengono brutalmente assassinati due giovani rom del campo nomadi di Secondigliano. Durante la notte successiva tutta la comunità fugge dal campo. Da questo fatto di cronaca è nato Sotto la stessa luna, il lungometraggio di Carlo Luglio selezionato dal 59° Festival Internazionale di Locarno nella sezione competitiva Cineasti del Presente. Girato in digitale con un budget paragonabile a quello di un corto – circa 60mila euro – il film segue da vicino le vicende dei rom Pavel e Oliver che, sullo sfondo della faida di camorra, si intrecciano a quelle di un boss emergente e di un ex capo zona camorrista in cerca di una vita normale.
Sotto la stessa luna è stato proiettato a Locarno il 7 agosto per la stampa e l’8 per il pubblico.

Luglio, qual è stata la genesi del film?
Siamo partiti da ciò che è successo a Scampia nel giugno 2004, ma più che soffermarci sull’assassinio dei due rom ci siamo concentrati sulle sue conseguenze, cioè l’esodo immediato di circa 900 persone dai due campi nomadi, nell’indifferenza generale. Colpiti da questo avvenimento, siamo andati al campo, e proprio lì è nata la sceneggiatura di Sotto la stessa luna. Abbiamo iniziato a girare mentre la faida di camorra, che ha provocato 60 morti, era al suo apice. Ci sono stati inevitabilmente alcuni momenti di tensione, è stata un’esperienza dura per la troupe.

Sotto la stessa luna è un’opera in bilico tra finzione e documentario. Quanto c’è di scritto e quanto di “nato spontaneamente”?
Sono partito da un semplice canovaccio, che già dall’inizio sapevo sarebbe stato solo un punto di riferimento per nulla rigido. Lo abbiamo usato per i provini e poi, una volta scelti gli interpreti, la storia è stata letteralmente modellata su di loro, sui loro vissuti spesso drammatici, sulle loro improvvisazioni e sulle loro aspirazioni.

Come ha scelto gli attori?
Gli interpreti sono tutti non professionisti. I due rom sono stati selezionati con un casting effettuato direttamente nel campo nomadi, lavorando per settimane sul territorio e vedendoli e rivedendoli alle prese con il testo, in abbinamenti sempre diversi. Anche i napoletani di Scampia sono stati scelti sul territorio, mentre c’è un unico attore di professione: Francesco Di Leva, visto in Pater Familias.

Come siete entrati in contatto con questo mondo, che è anche pericoloso?
Attraverso Gaetano Di Vaio, che ha prodotto il film con “FiglidelBronx”. E’ da alcuni anni che si muove nell’ambiente con un’associazione che tutela i diritti del popolo rom, e grazie a lui abbiamo avuto accesso a un mondo che poi ci ha concesso anche la sua fiducia.

Che punto di vista ha adottato?
Il mio obiettivo era quello di essere il più imparziale possibile e di offrire uno sguardo esterno, senza giudizi e pregiudizi, su una realtà difficile. Alla fine abbiamo solidarizzato con i rom, ma li abbiamo comunque raccontati a 360 gradi, senza enfatizzare il romanticismo della loro lotta per la sopravvivenza e descrivendone anche gli aspetti negativi. Volevamo mostrare due mondi che si incrociano per rappresentare qualcosa di più vasto. Alla fine non ci sono soluzioni: l’unica amara conclusione è che è impossibile vivere in zone così connotate dalla presenza malavitosa; per i giovani che vogliono un futuro nella legalità l’unica prospettiva è migrare.

Porterà avanti la sua indagine cinematografica su questa realtà?
Sì, progetto un seguito di Sotto la stessa luna insieme ai rom con cui realizzerò un laboratorio di 5-6 mesi per tirar fuori una sceneggiatura “condivisa”. E poi vorrei riprendere, in un’altra chiave, anche il progetto di Cardilli addolorati, documentario su appassionati, trafficanti, allevatori e bracconieri di uccelli per uso domestico che girai nel 2003 con Romano Montesarchio.

autore
31 Luglio 2006

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