Omaggiato alla Mostra del Cinema con l’inserimento del suo Hotel Meina, in “Venezia Maestri” fuori concorso, Carlo Lizzani è anche “l’eroe” del documentario di Francesca Del Sette, che porta sullo schermo il suo percorso artistico, personale, politico e di operatore culturale. Viaggio in corso nel cinema di Carlo Lizzani – liberamente ispirato all’autobiografia del regista “Viaggio in corso nel secolo breve” – è appunto un’affascinante panoramica sulla storia di un uomo che ha incrociato sul suo percorso i grandi personaggi della cultura del nostro paese, e non solo. Da cineclubbista che inizia la sua formazione al Cineguf, Lizzani diventa il successore di Truffaut alla federazione mondiale dei cineclub e poi, in un crescendo artistico e personale, realizza circa 60 film, dirige la Mostra del Cinema di Venezia e esplora il mondo con grandi viaggi. A svelarsi, nel documentario della sua collaboratrice, è proprio lo stesso regista, che accompagna le immagini con la sua voce off. Ma non mancano le testimonianze di tanti amici e collaboratori (da Giuliano Montaldo a Virna Lisi, da Stefania Sandrelli a Massimo Ghini, fino a Barbora Bobulova e Alessio Boni) e preziosi materiali di repertorio, come il backstage inedito del suo film d’esordio Achtung! banditi!.
Che effetto le ha fatto ripercorrere la sua vita attraverso le immagini del documentario?
Mi sono commosso, avevo le lacrime agli occhi quando ho visto riassunti in 80 minuti la mia vita, la mia passione, i miei sacrifici. La struttura del documentario è geniale: Francesca Del Sette è riuscita a fare un film che insegna senza essere didascalico e che, pur non andando in ordine cronologico, aiuta la biografia a legarsi al personaggio senza dispersioni.
Domani presenterà in anteprima Hotel Meina. Che reazioni si aspetta da pubblico e critica, anche alla luce delle polemiche di qualche mese fa?
Ho già avuto delle reazioni positive da alcuni critici che l’hanno visto, e spero che anche gli altri concordino. Poi il pubblico è un’altra cosa, ma sono sicuro che si appassionerà alla vicenda. Le polemiche con Becky Behar, l’unica sopravvissuta alla strage di ebrei del 1943 nella zona del Lago Maggiore, si sono calmate dopo che abbiamo parlato più volte: ho ascoltato i suoi consigli su alcune cose, ma su altri aspetti ho sostenuto le mie idee. L’importante è non tradire lo spirito e l’insegnamento etico dell’episodio, che ho cercato di tradurre in un linguaggio comprensibile al pubblico.
In un intervento su ‘la Repubblica’ ha parlato della situazione attuale del cinema italiano.
Credo che ci siano diversi talenti, ma che manchi un’identità. Bisognerebbe fare una battaglia comune, il che non significa fare tutti gli stessi film, ma partecipare alla costruzione di un linguaggio nuovo. Un po’ come successe all’epoca del Neorealismo o della Nouvelle Vague.
Lei è stato protagonista del rilancio della Mostra alla fine degli anni ’70. Qual è secondo lei lo stato di salute attuale del festival?
Buono. Müller ha affermato più volte di essersi attenuto alla formula che introdussi io, aggiungendo nuove sezioni e facendo spazio ai giovani, sia tra il pubblico che tra gli organizzatori. Ora che è alla scadenza del suo mandato non mi dispiacerebbe se venisse riconfermato, anche se ci sono ottimi candidati alla successione. La forza di Cannes e Berlino è quella di avere la stessa guida per tanti anni, e forse sarebbe meglio che questo accadesse anche alla Mostra.
Sta per partire il progetto “100 + 1” film da salvare. Che ne pensa e quali salverebbe?
Può essere un’ottima opportunità per salvare i diritti di molti capolavori dalle grinfie di tanti sciacalli che se li sono aggiudicati all’asta. Se dovessi salvare uno dei miei film sceglierei tra Cronache di poveri amanti, Fontamara o Il processo di Verona.
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