Spenti i riflettori sulla Croisette, è il momento dei bilanci, in particolare sui premi assegnati e sull’assenza tra i vincitori di Marco Bellocchio e di Sergio Castellitto, interprete intenso de L’ora di religione. Gran parte della stampa italiana condivide le scelte della giuria e del suo presidente David Lynch, pur con alcune eccezioni, ma soprattutto lamenta il mancato riconoscimento a L’ora di religione, film non capito o privo del necessario sponsor, cioè un componente italiano in giuria.
Per La Stampa si tratta di “un verdetto così equilibrato e assennato, che premia molti dei film migliori visti al festival: ignorando malauguratamente due dei più belli, O principio de incertezza di De Oliveira e L’ora di religione di Bellocchio; ignorando ragionevolmente il cinema francese”.
Si tratta di “un verdetto coerente, traversato da un filo rosso che manifesta con inaspettato vigore la volontà di ricucire i rapporti tra cinema e realtà – scrive la Repubblica – La maggioranza dei palmarès va a premiare, in qualche modo, ciò che un tempo si definiva un’idea ‘impegnata’ di cinema… C’era meno posto – e questo non può che dispiacerci – per una parabola atipica come L’ora di religione, film politico sì ma tinto di sfumature etiche e morali di lettura meno diretta”.
Per Il Messaggero “Bene la Palma al film più ‘alto’ per il tema, se non per il suo trattamento. Nell’anno in cui nessuno svettava sul piano strettamente cinematografico (tolti l’incompreso Bellocchio, l’eterno dimenticato De Oliveira e i già premiati Dardenne), la scelta della giuria guidata da Lynch si può capire e difendere”.
Imprevedibile il verdetto invece per l’Unità: “La memoria dell’Olocausto, la rabbia palestinese, il primo premio e l’ultimo, il più grosso e il più piccolo, restituiscono tutto il senso politico del palmarès di Cannes 2002. Un palmarès che non ci saremmo aspettati, perché il presidente della giuria David Lynch è un artista talmente visionario e apparentemente ‘apolitico’ che era forse lecito aspettarsi un premio al cinema-cinema, quello che maggiormente forza i limiti del linguaggio, dello stile, della finzione”.
In controtendenza il giudizio del Corriere della Sera: “Silurato il solitario e malprotetto vascello tricolore (non c’era nessun italiano per sostenere L’ora di religione), silurati tutti e quattro i francesi partiti invece appoggiatissimi e con grandi speranze, silurati i pregevoli film di cineasti famosi quali Mike Leigh, Oliveira, Winterbotton, Kiarostami, Cronenberg. Eppure la giuria ha trovato il modo di nominare ben 8 sui 22 titoli in gara”.
Infine il commento de Il Giornale che sottolinea come il premio per la sceneggiatura a Paul Laverty per Sweet Sixtee di Ken Loach poteva essere condiviso con L’ora di religione e rileva come la Palma d’oro a Il pianista rappresenti “l’ingiusto autoriconoscimento del contropotere cinematografico franco-tedesco, da parte di una giuria di autori e attrici che per esso lavorano (o sperano di lavorare ancora, vedi Stone)”.
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