“Non volevo fare un film sulla violenza contro le donne, ma raccontare il dopo. Nei miei precedenti lavori, I nostri ragazzi, Gli equilibristi, La bella gente partivo da storie di famiglie apparentemente normali che poi vanno in frantumi. Qui invece avviene il contrario, comincio da una famiglia già spezzata e cerco d’immaginarmi un futuro possibile”. Il regista Ivano De Matteo parla così del suo dramedy La vita possibile, in uscita il 22 settembre con Teodora, dopo aver mancato l’appuntamento con Venezia 73: “Al Lido ci sono stato con due film, non mi posso lamentare”.
Protagoniste di un film sulla speranza, sulla forza delle donne, sulla solidarietà tra amiche sono Margherita Buy e Valeria Golino, rispettivamente Anna e Carla. Anna, dopo l’ennesima violenza del marito, decide di andarsene via da Roma con il figlio Valerio/Andrea Pittorino, un ragazzo introverso e carico di risentimento. A Torino l’aspetta Carla, amica di vecchia data e attrice di teatro, “zero carriera e zero famiglia” dice di sé, ma è una donna solare e affettuosa, pronta a ospitare Valerio e la madre nella sua piccola casa. In una nuova situazione con l’aiuto di persone giuste, come il ristoratore francese Mathieu/Bruno Todeschini e un lavoro, seppur duro, Carla può rinascere.
Anche per Valerio, dopo alcune crisi e sbandate iniziali, la vita ricomincia grazie anche alla presenza ‘paterna’ di Mathieu e all’amicizia con alcuni coetanei del quartiere.
De Matteo si è ispirato alla vicenda di un’amica della sua compagna (la cosceneggiatrice del film Valentina Ferlan), che con il figlio 11enne ha vissuto per un decennio con un marito violento. Ma l’autore ha anche conosciuto numerose donne che hanno parlato di sé nel programma di Rai 3 ‘Amore criminale’.
“Quanto alle frasi terribili che il marito urla alla moglie mentre la sta picchiando, sono stralci di un processo resi in forma drammaturgica – spiega il cineasta romano – Il colloquio di Anna al Centro antiviolenza con il problema del consenso del padre perché il minore venga assistito psicologicamente da una struttura pubblica, mi è stato suggerito proprio dal presidente di tale Centro”. Anche la lettera di pentimento e di scuse che Anna riceve dal marito è autentica e presa da un libro di una ONG peruviana che pubblica le missive inviate dai coniugi violenti alle mogli.
Forse quella lettera spiega in parte perché spesso le donne restino prigioniere di una situazione familiare così pesante per anni. Il regista avverte di non essere in grado di spiegare in modo profondo questa dinamica, ma solo intuire che uno dei motivi sia la presenza dei figli o il senso di colpa.
“In questa storia malinconica ma anche speranzosa è assente l’odio o comunque non si percepisce. C’è indirettamente un senso di compassione verso quel marito violento che deve farsi curare”, dice la Golino.
E la Buy sottolinea come Anna abbia forti sensi di colpa per quanto il figlio ha vissuto. “Poi prende in mano le redini, e come spesso accade non è solo madre ma anche padre – si prende le responsabilità e questo mi piace molto. L’amica è un’importante stampella e soprattutto la loro solidarietà e bellissima”.
Non c’è un happy end ci tiene a ribadire De Matteo, ma solo un segno di speranza in una storia dove troviamo la violenza di un uomo, l’amicizia di una donna e l’amore di un bambino.
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