Botero. Basta un cognome perché a livello planetario chiunque identifichi subito il soggetto e l’arte a cui si fa riferimento. E infatti Botero – così, con l’efficacia del solo cognome – s’intitola il documentario diretto dal canadese Don Millar che racconta, e fa raccontare in prima persona, l’87enne artista colombiano, natìo della “città della primavera eterna”, Medellín, ma anche quella dei cartelli della droga sudamericana e di certo oscurantista al tempo dell’infanzia di Fernando.
Un’infanzia “interrotta” a 4 anni per la perdita del papà, un episodio non solo drammatico, ma illuminante sull’opera di Botero: “Faccio soggetti grossi per comunicare la sensualità delle forme; sono un appassionato del volume, una mia inclinazione naturale di cui non conoscevo il perché”, e per cui ha deciso di farsi psicanalizzare per cercare di capirlo, deducendo così possa essere la ricerca della forza della figura paterna. Fu disegnando il bozzetto di un mandolino, che tratteggiò in maniera “esplosa” rispetto alle proporzioni reali, che comprese il suo talento, spiega lui stesso: capì che la sua abilità era quella di disegnare in quel modo, in cui il soggetto sono i volumi e l’esigenza di monumentalità.
L’infanzia, un tema non solo importante in primissima persona da bambino, ma di nuovo centro di un dramma vissuto da padre: Botero, che nel doc per molta parte si racconta seduto ad un tavolo con i suoi tre figli intorno, che sono a loro volta narratori del loro papà e della sua opera, è stato lacerato dal dramma della perdita del quarto figlio, Pedrito, scomparso bambino per un fatale investimento d’auto, un inferno che però lo ha poi portato a dipingere una collezione con il soggetto dell’infante, tra cui il magnifico Pedrito a caballo, un dipinto metaforico tra ludico e reale.
Dal lontano Sud del mondo, la prima volta che Botero venne in Europa fu a Madrid, dove vide Velázqueze Goya, ma il colpo di fulmine, quello da cui venne ipnotizzato, fu Piero della Francesca, la cui opera gli fece comprendere quanto fosse sublime la pittura: poi arrivato a Firenze incontra davvero il Rinascimento, “nucleo di tutto”; visse nel capoluogo fiorentino in condizioni di miseria, ma gli interessava poter dipingere lì.
Botero poi arriva a New York negli anni ’60 con poche centinaia di dollari in tasca: anche se in America non s’è mai sentito a casa – da “latino” era più a suo agio in Europa – sapeva che era quella la capitale del mondo e un artista necessitava di essere in quel centro: lì sperimenta costantemente, soprattutto la pennellata molto sciolta tipica della sua pittura, ma nella Grande Mela imperavano la Pop Art e l’espressionismo astratto, mentre Botero era tutto il contrario e fu travolto da critiche devastanti infatti; eppure c’erano persone come la curatrice Dorothy Miller – a cui è dedicato il doc – interessate a nuovi talenti, senza limiti di canoni di tendenza: in questo momento l’opera chiave fu la Mona Lisa dodicenne.
Decine di bozzetti, anche inediti, scorrono e si scoprono sul grande schermo: humor, satira e malizia, tipici della sua arte, sono tutti rappresentati e mostrati, oltre che narrati. Sceglie uno storytelling famigliare, Don Millar, il regista canadese che per 19 mesi di produzione ha intervistato Fernando Botero, la sua famiglia, alcuni dei più prestigiosi curatori d’arte contemporanei, con tappe in una decina di città del mondo, dalla Cina alla Colombia d’origine.
Eppure Botero non s’accontenta di essere pittore, capiamo meglio nel doc, e ad un certo punto vuole imparare la scultura, nonostante padroneggiasse le varie tecniche, dall’olio al carboncino, con talento: nel 1983 compra una casa a Pietrasanta, luogo per lui speciale perché ci aveva vissuto Michelangelo, e perché vicino alle cave di Carrara e a storiche fonderie artistiche del bronzo, fondamentale per la sua arte.
Un uomo timido, dal sorriso dolce e sfuggente per la discrezione, così appare sullo schermo Fernando Botero, a cui interessa solo dipingere, che detesta le occasioni pubbliche che lo celebrano, in cui tende a fare bagni di folla di pochi minuti, poi chiede un drink e si siede da solo da una parte, a osservare le persone che interagiscono con le sue opere: non ha fastidio vengano toccate e siano soggetto d’interazione, in particolare le grandi scultore. “Ci sono artisti e critici, oggi, che pensano che se l’arte dà piacere sia prostituzione, ma è assurdo perché allora tutta l’arte è prostituzione. L’arte deve dare piacere“, spiega il maestro, un artista dalle grandi passioni “stagionali”: quando s’avvince per un tema – circo, Abu Ghraib, corrida, etc – s’entusiasma di quello e ci si immerge completamente per lungo tempo, poi termina e non ci torna più sopra.
Botero, si scopre nel doc, è anche un grande collezionista d’arte, tutta raccolta e donata al Museo Botero di Bogotà, espressione di quella sua generosità d’animo, che in arte esprime nelle sue macrodimensionate opere.
L’87enne Fernando Botero, acclamato nel mondo, ogni mattina, tra le 10 e le 11, non manca di andare nel suo studio di Monaco, dove la vista sul porto e la luce naturale della Costa Azzurra sono i compagni per continuare a creare, a mettersi in discussione criticando anche le opere già compiute, cercando sempre una soluzione d’armonia, perché: “Si potrebbe lavorare all’infinito”, afferma l’artista, soprattutto un patriarca collante per la sua famiglia.
Botero esce al cinema il 21 gennaio con Feltrinelli Real Cinema e Wanted Cinema.
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