BARI – Cos’è perfezione, cos’è ossessione? Cos’è bellezza, cos’è mostruosità? Cos’è umano, cos’è mito? Cos’è cura, cos’è tirannia?
Body Odyssey – finalista al Premio Solinas e vincitore del Premio Claudia Sbarigia – che già dal titolo premette a qualcosa che pone come epicentro il corpo e un universo intorno al medesimo che porta con sé un’Odissea, intesa come mito per qualcosa ma, altrettanto, come dedizione estrema per l’ottenimento di un fine.
Grazia Tricarico, al Bif&st con il suo primo lungometraggio, torna a lavorare con la bodybuilder Jacqueline Fuchs*, con cui aveva già realizzato il corto Mona Blond (2014). Dunque, Tricarico approfondisce la cultura e l’ossessione della perfezione del corpo, in una molto complessa trama di intrecci psicologici tra gli umani, con un film che chiama in scena anche Julian Sands (Kurt).
“Sono cresciuta esprimendomi con il corpo, ho anche fatto a botte con un ragazzino della mia scuola senza problemi: non ero brava a scrivere o a fare i conti, ma a usare il corpo sì. Poi si è aperta una strada, che si è manifestata presto, permettendo che il mio corpo fosse il mio lavoro: ricevo tutt’ora conferme. Da bambina non ero muscolosa ma ho cominciato a allenarmi a 12 anni, con mio papà, che era uno sportivo e mi ha portata in palestra: lì è avvenuto il lancio dei dadi per metter su i muscoli. Ho sempre voluto un fisico bello, magro e forte, da qui la mia via professionale”, spiega Fuchs, interpellata sulla sua idea di bellezza nel ricordo di bambina.
Mona, nella storia, è una bodybuilder professionista che si sta allenando per la competizione più importante della sua carriera. L’allenamento non è solo un piano atletico ma una ricerca ossessiva di un certo concetto di perfezione: la costruzione di questo corpo, per questa occasione, progredisce sotto il costante sguardo del suo allenatore Kurt, un deus ex machina dell’intera esistenza di lei. Nell’idea fissa di tendere a una versione possibile del concetto di bellezza, in questo apparente equilibrio della sua vita, l’incontro con Nic (Adam Mišík), misterioso giovane uomo, fa tremare la precarietà dell’apparente controllo del tutto, che scatena in Mona un conflitto, in cui naturalmente mette in discussione l’intera idea esistenziale intorno al suo corpo.
Per la regista: “il corpo è da sempre al centro di un’indagine, dagli antichi filosofi ai grandi autori del cinema. È il centro di uno studio: la materia-corpo ha generato un conflitto, ed è un tema in continua evoluzione. Stiamo andando veloci sull’identità fisica e può diventare problematica, dalla chirurgia in là. Body Odyssey prova a approcciare al corpo, alla sessualità, al genere, lasciando uno spazio allo spettatore per costruire la propria riflessione. La forza dell’immagine del corpo di lei è il racconto. L’approccio era in purezza. Siamo nella mente di lei. Il corpo è un’antenna, è un ricettore”.
Il film possiede un’estetica che non è solo quella di un corpo, ma quella di un’intera visione, propriamente cinematografica, della fotografia, che rende il racconto decisamente suggestivo, ma Tricarico dice non aver avuto degli specifici riferimenti estetici, dal cinema o dalla pittura, piuttosto: “sono una spettatrice professionista, con riferimenti innumerevoli. Sono gli altri che – guardando il film adesso – mi stanno suggerendo riferimenti che rintracciano nel gusto e nello stile, nella ricerca. L’ispirazione è sempre il suo corpo: la costruzione di un’estetica particolare”.
Estetica che porta con sé anche una maschera, fisica, che “è l’oggetto sacro di Mona, che rappresenta un demone lacustre giapponese. In lei c’è una specie di pulizia per quel tipo di mondo, oltre a un aspetto spirituale, da trovare in un oggetto, che prende vita e diventa un personaggio. La maschera è il suo demone personale”, aggiunge la regista.
Mona è una donna nell’involucro di un uomo, a tratti – dal verbale al fotografico – si potrebbe dire distopico il film, certamente straniante alla vista, che però non fa restare sulla superficie della visione ma scuote rispetto all’emotività della persona. Body Odyssey è un film sul sacrificio, sull’estetica, sul feticismo: Kurt manipola Mona per soddisfare il proprio ego. C’è un gioco di potere, che esercita anche (il) Corpo, alleato o tiranno per Mona?
Nella forma mentis di Jacqueline Fuchs è insito il concetto del guardarsi e lei ha “rivisto il film una seconda volta, proprio qui al Bif&st: l’impatto è stato molto forte. Si vedono processi da me vissuti: il film ripropone emozioni della mia vita. Con il film mi sono conosciuta meglio”.
Il film è una co-produzione Italia-Svizzera: Revok, Fenix Entertainment, Amka Films Productions Con Rai Cinema e Rsi Radiotelevisione Svizzera: l’uscita in sala dall’11 aprile.
*Jacqueline Fuchs è una bodybuilder svizzera. Grazie ai suoi successi in prestigiose competizioni internazionali (IFBB Rising Phoenix, l’IFBB Chicago Pro, IFBB Lenda Murray Pro), è considerata una delle dieci migliori bodybuilder al mondo.
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