Blu Yoshimi: “Io e Moretti, la commozione dopo il primo ciak”

La giovane attrice romana Blu Yoshimi, classe 1997, racconta l'emozione di tornare sul set con Nanni Moretti, ora in sala con Il sol dell'avvenire


Da Nanni a Nanni. Blu Yoshimi, classe 1997, ha iniziato a passeggiare i set romani al fianco di Moretti in Caos Calmo di Antonello Grimaldi. Era il 2008 e Blu, il cui secondo nome significa “bella e buona”, aveva appena undici anni e interpretava la figlia del leggendario regista. Oggi è tornata a Moretti, nel cast de Il sol dell’avvenire, dove recita l’immaginaria protagonista di “una storia d’amore piena di canzoni italiane”. Da figlia a pura fantasia, tra le parentesi morettiane una filmografia già ricca. Piuma (2016) di Roan Johnson la vede esordire da protagonista e assieme a Luigi Fedele firma uno dei racconti più dolci del recente cinema italiano. Per Leonardo Guerra Seràgnoli riflette sul rapporto tra social e nuova generazione in Likemeback (2018), temi su cui ancora si interroga, mentre nel 2020 è Lavinia nell’adattamento de Gli Indifferenti di Moravia. In sala con Il sol dell’avvenire, Blu Yoshimi è già alle prese con nuove avventure: le sperimentazioni di scrittura, con uno spettacolo in arrivo e un cortometraggio in fase di elaborazione, ma anche un film recitato interamente in spagnolo e pieno di riferimenti all’Esorcista (“sono il mostro del film, immagina che gioia!”). Del futuro non parla, dentro e fuori dal set, un luogo che è per lei già “casa”, preferisce sempre essere colta di sorpresa e lasciarsi stupire.

Partiamo dalla fine: Il sol dell’avvenire. Nell’ultimo film di Nanni Moretti interpreti la possibile protagonista di un film che vorrebbe girare, una storia d’amore piena di canzoni italiane. Per te un ritorno a casa, che nel 2008 in Caos Calmo hai iniziato proprio accanto a Moretti nel ruolo di sua figlia…

È stato tutto molto commovente. Ricordo che la scena della litigata è stata la prima che abbiamo girato, ma io sono stata l’ultima del cast a essere inclusa nel progetto. Lui quella scena l’ha scritta la settimana prima di iniziare a girare, per cui mi ha chiamata. Negli anni abbiamo tenuto un rapporto, io e Nanni. Ho fatto provini per tutti i suoi film, so che sa quello che faccio, in qualche modo mi osserva da lontano, da quello che intuisco. Mi chiama per questa il giorno prima delle riprese e faccio questo provino, ma molto onestamente gli dico: “Nanni io sono dieci anni che vengo qui a fare i provini per i tuoi film, ma sei sicuro che vuoi lavorare con me, perché magari no, magari è una cosa così che ti fa piacere”. E lui mi fa “ma no ma no, ti ritengo una brava attrice”, e qualche giorno dopo mi richiama e mi dice: “hai visto che non volevo solo chiacchierare”. È iniziato così. Io mi stavo laureando, quindi sono andata a fare la prova costumi qualche giorno prima della discussione di laurea, un momento super intenso. C’era una bellissima aria sul set, una bella energia. Già questo mi ha messo a mio agio. Io sono arrivata al film con tanto di mio, avevo tanto che volevo dare in questa scena, anche perché il personaggio era poco sviluppato, era stato scritto due giorni prima e quindi io sapevo poco o niente. Lo stesso Nanni non condivide le sceneggiature, dunque non sapevo che ruolo avesse rispetto a lui. Lui mi aveva detto che era “un film che avrei voluto fare”, avevo capito quindi la componente onirica e così è stato. È stata una notte di set da sogno. Ci sono due andamenti diversi nella scena: quella che voi vedete, la prima parte, è una scena scritta, la parte in mezzo è una scena improvvisata. Io sto dicendo cose che non so cosa sono, perché Nanni me le suggerisce in scena, poi alla fine è di nuovo la scena scritta. Bellissimo. È un unico ciak, perché ci ha commosso subito e lì ho capito che c’era tanto di mio e tanto di Nanni. Un gioco della fiducia. Io sapevo che lui mi avrebbe guidato dove doveva andare questa cosa. Sento che questo legame ha parlato, anche in scena. La sensazione che ho più chiaramente, anche dopo aver visto il film, è stato l’onore e la gratitudine. Nanni quando in conferenza stampa ha detto “io con questo film chiudo la mia prima fase di lavoro” l’ho sentito tutto: che figata essere in questa chiusura e in questo nuovo sole che può arrivare.

Continuiamo a riavvolgere allora. Mancano due giorni alla tua laurea al DAMS Roma Tre e sei sul set per Nanni Moretti, un’altra volta. Tu hai studiato recitazione a New York e Madrid, ma hai fatto anche un percorso di laurea con studi più teorici, e in più vivi i set da anni. Quali esperienze ti porti quando vai in scena? A quali strumenti, accademici o interiori, fai affidamento?

Lo studio per me è fondamentale, teorico e pratico. Non lo studio delle regole ma quello che libera il tuo strumento. Non ho mai fatto uno studio mnemonico, ho sempre studiato per cercare una verità nel momento presente, mi sono sempre lasciata stupire vivendo la scena. Esempio lampante è la scena con Nanni, di cui parlavamo. Non c’è niente di preparato. Quindi io funziono così: più sono impreparata più sono contenta, che non significa che non ho fatto la preparazione, ma che mi affido, che non ho paura. Paradossalmente l’esperienza che più di tutte conta è quella da esseri umani, banalmente. Che tipo di attore sei dipende da che tipo di persona sei. È come una chitarra che cambia il suono dal legno: che legno sono io? che qualità posso portare? Sono cose che nessuno può insegnarti. Devi vivere.

L’altro tema di cui mi stai parlando molto è il rapporto, umano e professionale, con Moretti, ma in generale con la figura di guida che il regista incarna. Usando sempre Il sol dell’avvenire: in una scena appunto è Moretti a suggerirti le battute, mentre al tuo compagno, interpretato da Michele Eburnea, dice solo di stare zitto. Poi c’è Barbora Babulova che invece continua a modificare le scene a modo proprio. Due estremi proprio, come vedi tu il rapporto attrice-regista?

Squadra, gioco di squadra puro. Devo dire che penso di essere stata molto fortunata con i registi e le registe con cui ho lavorato fino a oggi. Forse c’è stato un film che mi ha segnato particolarmente dal punto di vista del rapporto con il regista, El Nido di Mattia Temponi, che è un’opera prima. Un film che parla di una pandemia ma che abbiamo girato prima della pandemia. Mattia Temponi, che ha scritto un film molto bello e in cui mi sono divertita veramente tanto perché facevo il mostro, puoi immaginare la gioia, a un certo punto mi ha detto: “Ora il personaggio è tuo”. Questo passaggio di testimone mi ha fatto capire quanto sia importante anche l’attore, che alla fine è il tramite per una storia. È uno strumento primario per legare con lo spettatore, e quindi ho capito anche quanto sia importante per un autore avere un attore che si prenda la responsabilità di fare questo passaparola di ciò che ha scritto. Io lo vedo tanto come un gioco di squadra. Poi, ho massimo rispetto per i registi, a cui appartiene sempre il film e le scelte, ma sento anche un senso di responsabilità, oltre che l’opportunità di poter dare anche qualcosa. 

Con El Nido poi sei uscita proprio da ogni zona di comfort: un film di fantascienza recitato in spagnolo, due novità in una, che esperienza è stata?

Sì! Io ho studiato lingue al liceo, che non vuol dire nulla però. Avevo una brava insegnante di spagnolo in realtà, ma io non so imparare le lingue in modo didattico, l’ho scoperto dopo il liceo. Con la motivazione del film ho ripreso gli appunti, mi sono ascoltata podcast per interi mesi e alla fine potevo anche improvvisare in spagnolo, ed è stato divertente. Un’esperienza nuova, in cui ho acquisito sicurezza. Come la maggior parte delle ragazze di questo secolo ovviamente vivo nelle insicurezze, ma a livello attoriale c’è qualcosa che non mi riguarda, che è la storia, il team, cosa ci sta attorno, che mi dà più sicurezza. In questo film invece a volte avevo tanta paura. C’erano dei momenti molto potenti, complessi, con citazioni dell’Esorcista e una fisicità molto importante da esplorare, e io la maggior parte delle cose non le provo perché il punto per me è proprio farsi sorprendere con uno specifico “fondo del materiale”. Quella è stata l’esperienza più formativa a livello di affidamento, non so a chi, forse al dio del cinema. 

Mi hai confidato di essere incuriosita dal mondo della scrittura, del giornalismo, delle recensioni. Credi che in futuro la recitazione sarà solo uno dei modi con cui esprimerti o al contrario ogni situazione sarà utile per la recitazione?

Io scrivo, scrivo da tanto e tanto. Ho sempre scritto per me, invece negli ultimi anni sto provando a sfidarmi un po’ e aprirmi. Ieri ho iniziato le prove di uno spettacolo scritto da me assieme a un’altra ragazza, Gemma Costa, che andrà in scena a fine maggio all’interno di una rassegna del Teatro Palladium, supportato sempre da Roma Tre, dove mi sono laureata. Quindi in realtà mi sto aprendo anche a quel mondo, che significa anche aprirsi a una vulnerabilità. Con la recitazione hai sempre il personaggio che ti difende, con la scrittura quello che hai scritto resta. A me piacciono i film in toto, non mi ritengo un’ottima cinefila perché non mi ricordo molte cose quindi passerei il tempo a impazzire per ricordare dove ho visto un attore. Quando ero piccola però andavo al cinema con un quadernino e mi segnavo le cose. Il DAMS di certo mi avrà dato più sicurezza da questo punto di vista, per uno sguardo più critico e analitico. Più profondamente però riguarda la scrittura. Sono ora in scrittura di un mio cortometraggio. Mi interessa anche per esplorare altri ruoli di un set, che mi viene da dire sia un luogo che inizio a conoscere bene. Arrivo su un set e sto tranquilla..

Sul set ti senti a casa?

Sì! Non ci faccio mai caso, ma quando realizzo vedo che arrivo in un posto pieno di sconosciuti e in realtà non ho alcun problema, sto benissimo. Poi una arriva a casa propria, si guarda allo specchio e vede che è un disastro, ma lì invece è tutto ok, assurdo..

Era già così sul set di Piuma, il tuo primo film da protagonista?

In Piuma ancora di più, lì eravamo proprio una famiglia. Uno di quei casi in cui la magia del set si vede sullo schermo. Un film d’amore nel senso più puro, con una squadra non vincente, di più. A parte che Roan (Johnson, ndr) ha la capacità di collaborare e crescere con i collaboratori. Anche con Luigi Fedele c’è ancora un rapporto vivo, frutto di quel tipo di energia là.

Siccome hai recitato in Likemeback di Serragnoli, film del 2018 che parla del rapporto tra nuove generazioni e social, e sei una giovane attrice che comunque vive questa dimensione, come ti rapporti tra l’apparire continuo di queste piattaforme e la necessità di scomparire ogni tanto? 

Male, malissimo! Questa cosa dei social è nei miei  pensieri continuamente, ma sono in una fase di grande accettazione. Ciò che soffro di più di tutto questo è il modo in cui una piattaforma, sia nel privato, sia nel pubblico, ti chiede di vendere un prodotto che sei tu: a me terrorizza. Io che vendo dei miei prodotti, ad esempio le mie sceneggiature, so che devo dare un pitch con una logline chiara e centrata. Trovo invece molto complesso e riduttivo, per tutti, forse soprattutto per un under 30, dare una definizione di chi si è. Io ho questo tipo di complicazione con i social. Per me è stato molto complesso all’inizio capire chi fossi, è diventata quasi una cosa esistenziale. Io do per scontato che le persone che mi seguono sappiano esattamente chi sono, ma non è così. Una cosa detta in un modo può essere interpretata in un altro, lo trovo un lavoro complesso doversi esporre con così tanta sicurezza sulla propria personalità in un momento in cui la mia personalità la sto cercando e ricercando ogni giorno. Quello che invece sto cercando è un po’ un compromesso, ad esempio per esporsi sul proprio lavoro o su qualcosa a cui tengo, come per me sono le questioni ambientali. Nel tempo sono diventata più disillusa, ma comunque cerco di comunicare questi temi. Se apri il mio profilo vedi che il primo post fissato è una lettera che avevo scritto al pianeta. Poi, ovviamente faccio molto di più di quello che racconto, vivo una vita con certe abitudini che non mi interessa mostrare, di certo non mi interessa condividere quando mi lavo i denti con lo spazzolino di bambù o faccio il deodorante in casa. Non posso mica stressarmi tutto il tempo a raccontare. Cerco di farlo, ma poi mi rendo conto che rispetto alla complessità che è la vita e le giornate delle persone, è riduttivo. Per me avrà sempre più valore il tipo di confronto che abbiamo ora, uno a uno. Sono contenta perché non ho una fandom così grande, riesco ad avere ogni tanto degli scambi con delle persone. Sento la potenza di questi strumenti, a me ha permesso di partecipare ad alcune attività come quelle del Friday for Future, poi ovviamente vorrei essere Leonardo DiCaprio e avere solo foto di balene e della foresta amazzonica sul mio profilo.

Manca nel cinema italiano un racconto della crisi climatica?

Mancano tante cose in Italia eh…però io penso che sia ora di ringraziare i maestri, prenderne le lezioni e dare spazio agli autori giovani. Necessitiamo dei giovani e storie che ci rappresentino. Quando vado al cinema penso: ma nessuno è povero in questi film? Sono l’unica che non sapeva come pagare l’affitto due mesi fa? C’è una situazione tragica, i miei amici vengono sfruttati nei loro tirocini ogni giorno..

L’altro pomeriggio fuori dal Sacher, in occasione della prima del film di Moretti, ho chiesto ad alcuni spettatori se secondo loro ci sia oggi una voce giovane e forte come lo è stata lui soprattutto coi primi film, quando esprimeva le istanze di una generazione, ma in tanti mi hanno detto che non serve..

È triste sì. Nanni è l’esempio di uno che ha cercato tanto anche il passaggio di testimone. Anche solo il suo “bimbi belli” è creare lo spazio per qualcosa di nuovo. Lui ce l’ha nel cuore probabilmente perché non si è dimenticato l’esperienza da giovane regista. Penso anche che ci sia un certo servilismo verso alcune personalità forti, quindi anche le capacità di andare in contrasto mancano. Nanni cercava il conflitto per crescere, forse ora manca questo. Poi c’è anche un’altra realtà, senza addentrarsi in politica o sociologia, ma gli ultimi 20 anni hanno creato un gap culturale e non hanno favorito un passaggio di testimone. Ora comunque c’è una nuova ondata di registi, penso ai D’Innocenzo, a Sibilia, Rovere, ma anche un Garrone che è più grande e precede questi citati ma ha creato anche lui un nuovo filone. Infatti Nanni in conferenza stampa l’altro giorno ha proprio detto di essere dispiaciuto che Garrone non venga a Cannes. Pensiamo anche alla Rohrwacher. Alice lo dice spesso, di dovere tanto al cinema di Nanni, o a Nanni stesso, perché lui ha dato questo tipo di vicinanza e supporto.

Chiudiamo così: puoi girare il film di Nanni Moretti, la storia d’amore piena di canzoni italiane. Me ne dici tre che non possono mancare?

Che meraviglia, che sogno sarebbe! Forse metterei Due Mondi di Battisti, di Battisti metterei tutto, Aida di Rino Gaetano e poi Battiato di certo, mi viene in mente L’esodo che non è per niente romantica ma mi fa impazzire.

Foto di Giovanna Onofri,
Abito di Marco Gambedotti styled da Pierlorenzo Bassetti
Gioielli di Giulia Barela

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