BLASETTI IN MOSTRA


Federico Fellini così ricorda, attraverso un ritratto allo stesso tempo ironico e veritiero, il padre e il maestro di tanti registi: “Lassù, a mille metri d’altezza, su una poltrona Frau saldamente avvitata alla piattaforma della gru, gambali in cuoio, foulard di seta, un elmo in testa e tre megafoni, quattro microfoni e una ventina di fischietti al collo, c’era lui Alessandro Blasetti, il Regista”.
All’autoritario demiurgo del set, all’infaticabile cultore della grandeur cinematografica è dedicata la mostra “Alessandro Blasetti. Il mestiere del cinema” che il Museo di Roma in Trastevere ospita dal 18 giugno al 15 settembre.
La mostra ideata in occasione del centenario di Blasetti è stata promossa dall’Assessorato alle politiche culturali e organizzata dalla Sovraintendenza ai Beni Culturali in collaborazione con il Comitato Alessandro Blasetti.
Il percorso espositivo ripercorre la storia artistica del regista, romano di nascita (1900-1987), dall’inizio dell’attività giornalistica nel 1923 fino al programma televisivo Venezia, una mostra per il cinema ed è articolata in tre parti: “Giornalismo, didattica, teatro, televisione”, e poi naturalmente il cinema, in particolare “Gli anni ’30 e ‘40″, “Gli anni ’50 e ‘60″.
In mostra disegni, bozzetti (per i costumi di Ettore Fieramosca e per Fabiola), per le scenografie de La corona di ferro), oggetti, costumi (La cena delle beffe), fotografie di scena e sul set, disegni, manifesti, affiche pubblicitarie, spartiti musicali, elaborazioni in cibachrome da fotogrammi di Sole, caricature del regista.
A volere fortemente questo “ricordo” è stata la figlia Mara Blasetti che spera che la mostra recuperi la memoria di un autore presto dimenticato, “perché il latino e il greco del cinema italiano viene proprio da mio padre”, e che inoltre si rammarica per la perdita irreparabile di tre film del padre: dell’opera prima Sole (1928), venduto al macero per mille lire, sono infatti rimasti solo 10 minuti conservati al Centro sperimentale di cinematografia, e ancora Il caso Haller (1933) e L’impiegata di papà (1934), film quest’ultimi realizzati in brevissimo tempo, i cosiddetti “alimentari” perché davano da vivere al regista.
Accanto alla figlia Mara ci sono a inaugurare la mostra <b<Carlo Lizzani che ricorda Blasetti come uno strenuo difensore del nostro cinema: “ Ricordo che nel 1980 la Mostra di Venezia che allora dirigevo gli assegnò un meritato Leone d’Oro alla carriera. Un regista che, pur aderendo nei primi anni al regime fascista, a causa della sua fronda venne spesso messo da parte e umiliato. Come non ricordare il commento, dopo la proiezione di La corona di ferro alla IX Mostra veneziana, del ministro nazista della cultura Goebbels che, cogliendo lo spirito pacifista di Blasetti, dichiarò ‘Se fosse stato un regista tedesco a realizzare quel film in Germania, in quel momento sarebbe stato messo con le spalle al muro’ “.
Citto Maselli, suo allievo al Centro sperimentale di cinematografia, quando Blasetti insegnava regia e sceneggiatura, e poi suo amico, ricorda il suo antiprovincialismo – “Il film Quattro passi tra le nuvole (1942) aveva un respiro europeo” – e i suoi legami, attraverso la figura di Emilio Cecchi, “con la cultura internazionalizzata dell’anteguerra”. Così come non si può dimenticare, secondo Maselli, il Blasetti intellettuale con i suoi editoriali, veri e propri articoli di politica culturale, sulla rivista “Il cinematografo” negli anni ’30.
A Callisto Cosulich il compito di recuperare il Blasetti precursore di tendenze del nostro cinema sia prima che dopo la guerra, “un uomo di vedute liberali che fu vicino alle battaglie dei registi nei primi anni difficili della Repubblica”.

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