BERLINO – Dopo Angelina Jolie arriva a Berlino l’ex consorte Billy Bob Thornton, anche lui regista, peraltro al suo quarto film. L’autore di Sling Blade è infatti in concorso con Jayne Mansfield’s Car, film estremamente personale, quasi un regolamento di conti in famiglia, con un eccellente duetto tra due grandi vecchi del cinema, Robert Duvall e John Hurt. I due attori in scena sono il primo e il secondo marito di Naomi, una donna affascinante quanto eccentrica che molti anni prima – siamo nel 1969 della contestazione – aveva lasciato i quattro figli per trasferirsi dall’Alabama in Inghilterra. Ora che lei è morta, per soddisfare le sue ultime volontà (essere sepolta nella natìa America), il marito inglese con i due figli avuti lì, si presenta alla strampalata famiglia lasciata negli States per il funerale. Incontra così Skip, un veterano del Vietnam regredito allo stadio adolescenziale e ossessionato dalle automobili (lo stesso Thornton), Carroll, un hippie pacifista fino al midollo e psichedelico, he fa largo uso di marijuana (Kevin Bacon), Donna una moglie infelice e pronta all’adulterio, Jimbo, l’unico che sembra avere la testa sulle spalle. Il patriarca, uomo all’antica, ex militare tutto d’un pezzo, ha come hobby la passione per gli incidenti d’auto tra cui quello in cui perse la vita, e la testa, proprio la maggiorata Jayne Mansfield. Il vecchio ha cresciuto questi quattro figli senza un gesto d’affetto, arrivando persino a non leggere una lettera speditagli da Carroll, ma alla rabbia e al dolore provati per l’abbandono, fanno via via posto un buffo senso di solidarietà con l’altro anziano, mentre i rampolli familiarizzano in varie forme, anche grazie all’amore-odio tra inglesi e americani, e c’è persino chi si innamora.
Applauditissimo in conferenza stampa, Billy Bob Thornton ha incontrato i giornalisti assieme a John Hurt, fresco vincitore a Londra del Premio alla carriera e tra i protagonisti del premiatissimo La talpa. Prodotto in modo del tutto indipendente, con capitali russi, Jane Mansfield’s Car parla di “come generazioni differenti vedono la guerra, una tragedia da cui, per un qualche strano motivo, non si è in grado di imparare”.
Ma il nucleo profondo è proprio il rapporto tra il 56enne attore e regista e suo padre, irlandese purosangue: “Era un tipo tosto, duro e violento, reduce dalla Corea, non mi ricordo di aver mai avuto una conversazione con lui su qualunque argomento. L’unico momento in cui mio padre riusciva a stabilire in contatto con me e mio fratello era quando ci portava a vedere gli incidenti stradali. Se ne stava lì per due ore a fumare le sue Lucky Strike, mentre mio fratello era semplicemente inorridito. Posso dire senza timore di aver passato tutta la vita a cercare la sua attenzione, è morto quando io avevo 17 anni e col tempo ho capito che gli volevo molto bene e che lui semplicemente non era in grado di comunicare con me”.
Di rapporti familiari malati e sentimenti inespressi parla anche il delicato, sotto la scorza di apparente durezza, L’enfant d’en haut della franco-svizzera Ursula Meier, all’opera seconda dopo Home. Il film è il ritratto ravvicinato di un pre-adolescente, il dodicenne Simon (Kacey Mottet Klein), che vive derubando i benestanti turisti di una stazione sciistica sulle Alpi per rivendere guanti, occhiali e attrezzature di lusso per qualche franco. Abita con la sorella (Léa Seydoux), una ragazza completamente sbandata che passa da un amante all’altro senza alcun centro di gravità e alterna verso di lui affetto e repulsione. Simon, con la sua giovane vita, cerca di proteggerla mentre in realtà avrebbe lui stesso un grande bisogno di cure, ma c’è una rivelazione alle porte. Il film, per l’Italia, è stato acquistato da Teodora.
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