Billie Holiday, la signora contro il razzismo

Attorno all'incontro tra due donne è costruito Billie, il documentario di James Erskine presentato al TFF in collaborazione con il festival Seeyousound


L’incontro tra due donne tanto diverse quanto segnate da un destino comune fa di Billie, il documentario di James Erskine presentato al TFF in collaborazione con il festival Seeyousound, un lavoro avvincente ed emozionante, da non perdere.

Alla fine degli anni ’60, la giornalista Linda Lipnack Kuehl decise di scrivere la biografia definitiva su Billie Holiday, voce inimitabile, artista nera in un mondo di bianchi, vittima fin dall’infanzia, ribelle e audace nel denunciare la segregazione razziale. Linda raccolse testimonianze straordinarie parlando con i grandi del jazz come Charles Mingus, Tony Bennett, Count Basie, ma anche con amiche e parenti, amanti, avvocati, magnaccia e persino gli agenti dell’FBI che l’avevano arrestata. La biografia, però, non vide mai la luce e la stessa Linda morì in circostanze non chiarite, ufficialmente suicida. Ora il regista britannico James Erskine ha avuto accesso alle 200 ore di interviste inedite dando finalmente voce alla vera storia di Lady Day ma anche alla tortuosa ricerca di Linda.

Autore di alcuni celebri documentari come The Battle of the Sexes (2013), dedicato alla tennista Billie Jane King e alla base del film La battaglia dei sessi (2017), con Emma Stone e Steve Carrell, Pantani: The Accidental Death of a Cyclist (2014), sulla morte del famoso ciclista italiano, Erskine ha scelto di colorare le immagini d’epoca. “Poiché la vita di Billie è stata vissuta a colori, ci sembrava uno sbaglio lasciarla intrappolata nel bianco e nero. Volevamo far provare un senso d’immediatezza. In sala di montaggio abbiamo costruito la sua storia cercando di dare un senso all’enigma che rappresenta, facendo in modo che il film ne portasse la presenza viva. Avevamo le immagini e le abbiamo montate con le interviste sopravvissute; la cosa essenziale, però, era che nel film ci fosse abbastanza spazio per esprimere il potere di Billie, il suo genio, e il fatto che la sua storia è stata raccontata soprattutto dalle sue canzoni”.

Sono una dozzina i brani interpretati dalla cantante nel film, da God Bless the Child, scritto pensando a sua madre, che l’aveva cresciuta da sola in un quartiere malfamato, alla sua preferita Don’t explain, lettera d’amore a un amante traditore, fino alla straordinaria Strange Fruit, duro atto d’accusa contro i linciaggi dei neri. Un testo inequivocabile che provocava reazioni risentite nel pubblico dei bianchi ma che fece esclamare a Charlie Mingus: “Billie combatteva per l’uguaglianza da prima di Martin Luther King”.

Nata il 7 aprile del 1915 a Baltimora, Eleonora Fagan inanella da subito una serie di tragiche esperienze, dalla violenza subita da bambina alla prostituzione all’età di 13 anni, ma già a 18 si esibiva nei club e creava la sua leggenda nel segno di un’emotività artistica vibrante, di un rapporto con gli uomini segnato dal masochismo, ma anche di un desiderio di libertà assoluta, in cui l’uso di droghe, per cui venne arrestata due volte, e l’alcol andavano di pari passo a una vita impulsiva e anticonformista, compresi gli amori con altre donne.

“Billie – afferma James Erskine – è una delle più grandi voci di tutti i tempi, inoltre nella sua vicenda si incrociano temi contemporanei come la sessualità, il razzismo, la violenza contro le donne, quindi il suo personaggio parla all’oggi. Dopo aver ascoltato i mitici tape delle interviste, ho deciso che era indispensabile riportarli alla luce”. Molto controversa, quasi a tinte noir, anche la vicenda della giornalista Linda Lipnack Kuehl, che nel film viene raccontata dalla testimonianza della sorella minore. “Non si è suicidata – afferma Erskine e sua sorella ha sempre sospettato qualcosa di diverso, perché Linda, quando è ‘caduta’ dalla finestra, era vestita per andare a dormire e aveva una maschera di bellezza sul viso, e poi una scrittrice avrebbe lasciato una lettura ai suoi cari. Abbiamo indagato, ma i rapporti della polizia, che all’epoca furono confermati dal coroner, sono stati distrutti dieci anni dopo i fatti, avvenuti nel ’78 e non c’è mai stata un’indagine dell’FBI”. Forse Linda aveva scoperto qualcosa di scomodo. 

La questione razziale è uno dei punti di interesse del documentario, che fa parte del catalogo di Feltrinelli Real Cinema e potrebbe arrivare anche nelle sale, come spera Anastasia Plazzotta. Il film ci mostra cosa doveva essere negli anni ’30 e ’40 esibirsi nei locali per bianchi o fare una tournée: doveva entrare dalla porta di servizio, non poteva usare il bagno nelle stazioni di servizio, spesso era costretta a dormire nel pullman perché non era ammessa negli hotel. E poi, non meno importante, tutta la critica musicale era in mano ai bianchi, così come le posizioni di potere nell’industria discografica o tra i manager. Una donna afroamericana impegnata e combattiva non poteva che dare fastidio e questo spiega anche l’accanimento contro di lei con le inchieste per possesso di stupefacenti.  “Il film – afferma Erskine – ha un senso anche per tutti coloro che soffrono nella dignità e lottano per il rispetto. Billie fu estremamente coraggiosa nel ’39 a cantare Strange Fruit, ben prima della nascita del movimento dei diritti civili. La sua vicenda è un simbolo di resistenza”. E nel contempo, senza contraddizione, è la storia di una donna che subì dagli uomini angherie – poi raccontate ed espresse nelle sue canzoni – sempre alla ricerca dell’amore e della protezione che le furono negati da bambina. Quando morì, nel 1959, affetta da cirrosi epatica ed insufficienza cardiaca, non aveva fatto a tempo a divorziare dal marito e impresario che l’aveva spennata economicamente e la tradiva con una bianca. Eppure, viveva ogni giorno come se fossero cento.

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27 Novembre 2020

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