Bif&st al via con l’applaudito ‘Diaz’, Cavani e l’omaggio a Guerra


BARI. Quasi cinque minuti di applausi hanno accolto alla fine la proiezione di Diaz Don’t Clean up This Blood che ha inaugurato al Teatro Petruzzelli la terza edizione del Bif&st. Si trattava per il film di Daniele Vicari, che sarà nelle sale con Fandango il prossimo 13 aprile, della prima anteprima con il pubblico italiano dopo la sua partecipazione alla sezione Panorama della Berlinale. Unico momento di tensione durante la visione quando da uno dei palchi si è alzata una voce contro il produttore Domenico Procacci, subito zittita dal pubblico.

 

Proprio il capo di Fandango, presentando Diaz, agli spettatori aveva ricordato come “la produzione di questo film non avesse incontrato molti compagni di viaggio”, avvisando poi che “quello che vedrete sullo schermo è veramente accaduto, anzi la violenza è stata ancora più grande”. Il regista Daniele Vicari ha invece sintetizzato il suo lavoro sui gravi fatti accaduti durante il G8 di Genova all’interno della scuola media Diaz come “un gesto forte e chiaro sul piano sia cinematografico che civile. Non più sussurrare ma gridare”.

La serata d’inaugurazione del Bif&st che ha visto la presenza sul palco del direttore Felice Laudadio, del presidente Ettore Scola, del governatore della Puglia Nichi Vendola e dell’assessore regionale alla Cultura Silvia Godelli, è cominciata con un omaggio allo scomparso Tonino Guerra. Sullo schermo sono passate le immagini di una sua intervista nella quale Guerra riflette sul valore del cinema, “una presenza di vita” e sul ruolo fondamentale degli sceneggiatori in particolare di Zavattini, Sonego e Flaiano. Il ricordo si è concluso sulle parole “quando uno diventa vecchio è obbligato a essere sazio. Adesso verranno degli altri”.
Scola ha poi sottolineato che il Festival di Bari si è aperto con un omaggio “non a un regista, bensì a un poeta, scrittore e filosofo. Tonino, come suggeriscono le immagini, era senza sosta, senza pause, e il suo ottimismo non poteva non essere ascoltato”.

Altro momento significativo della serata d’apertura è stata la consegna del premio Fellini 8½ a Liliana Cavani: “Una grande donna ed una grande regista che attraverso i suoi film, i suoi documentari e i suoi lavori per la televisione ha saputo esplorare la tempra e la fragilità della condizione umana dinanzi a quelle che spesso risultano essere circostanze e situazioni straordinarie”.
La regista, grata per il riconoscimento, si è detta sorpresa da questo festival così partecipato dalla città, come testimoniato dal ricco dibattito che l’ha vista protagonista la mattina. “E’ la conferma che il festival funziona perché educa”. Ha poi voluto dedicare il premio ricevuto “alle registe future e a quelle che oggi stentano a fare la seconda opera. Le donne fanno sempre più fatica degli uomini, devono essere più brave”. Si è poi rivolta verso l’attore Max von Sydow, presente in teatro – nei prossimi giorni ritirerà anche lui il premio Fellini 8½ – “la sua presenza qui mi ricorda il periodo in cui frequentavo i cineclub, e vedevo film formativi come Il settimo sigillo. E’ una bellissima e straordinaria coincidenza”.

 

Annullata la lezione di cinema della regista Margarethe von Trotta, impossibilitata a lasciare Berlino per problemi di salute, è stata così anticipata alla mattina, la tavola rotonda “Diaz e il G8”, coordinata da Silvio Maselli, con la partecipazione di Daniele Vicari, Domenico Procacci, Ettore Scola, Gennaro Migliore, Sergio Lorusso, subito dopo la proiezione del documentario Black Block di Carlo A. Bachschmidt.

 

La decisione di realizzare Diaz, ha affermato Vicari, venne subito dopo la sentenza di primo grado che assolveva i vertici della polizia e condanna solo alcuni ‘peones’. “Abbiamo letto e visionato io e la sceneggiatrice Laura Paolucci una grande quantità di materiali, ma alla fine ci siamo accorti che nessuno raccontava fino in fondo la sistematicità della violenza. Ho ricercato allora nel film, grazie a storie che s’incrociano, un’emozione forte che spingesse lo spettatore a capire di più e a riflettere su quella che è stata un’azione di guerra”.

Una vicenda che per Procacci andava raccontata perché non fosse dimenticata in un Paese abituato alla rimozione, ma anche conosciuta perché non si ripeta quanto avvenuto a Genova. “E’ grave che dopo dieci anni non vi sia stata nessuna assunzione di responsabilità da parte del capo della polizia e del ministro degli Interni. Eppure sarebbe importante sanare la frattura creatasi tra una parte del Paese e le forze dell’ordine”.

Per gli autori di The Summit, Franco Fracassi e Massimo Lauria il loro documentario getta luce su molte zone d’ombra del G8 di Genova – la polizia ha affrontato quelle giornate di protesta ricorrendo alla strategia della tensione. “Nessuno in quei giorni ha mai parlato delle decisioni prese al vertice G8 e il focus dei media era tutto concentrato sulla piazza e gli scontri”.

In chiusura il docente di Diritto penale Sergio Lorusso ricorda come il nostro codice non preveda il reato di tortura e come la sentenza di secondo grado sui fatti della Diaz, che ha condannato la catena di comando, rischi di cadere in prescrizione a causa dei tempi lunghissimi della giustizia italiana. 
 

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