TROPEA – La cerimonia di chiusura della prima edizione del Tropea Film Festival – messo mirabilmente in piedi in meno di due mesi – è stata una serata che ha portato sorprese, da cui sono state annunciate prospettive pragmatiche e artistiche, per la cittadinanza, il pubblico tutto, il valore del territorio in senso assoluto e anche per il racconto seriale di respiro nazionale e oltre.
Il direttore artistico, Emanuele Bertucci, ci ha raccontato il progetto e il futuro visionario, quanto concreto.
Direttore, è calato il sipario sulla settimana del primo Tropea FF, o forse no? Quindi, ricapitoli e racconti con che spirito è nata questa edizione 2023.
Nasce dal claim che abbiamo pensato: ‘il festival che non c’era, adesso c’è’. Perché? Perché Tropea non poteva non avere un festival del cinema, è la città che ha dato i natali a Raf Vallone, attore famoso nel mondo, ma che non ha mai lasciato il suo punto di riferimento. Il cinema e Tropea sono tutt’uno, anche perché tantissime sono le pellicole girate qui, non solo nel passato, anche molto di recente, tra cui la scena iniziale de L’esorcista del Papa con Russell Crowe.
Qual è l’importanza di portare il cinema nei piccoli territori?
È importantissimo e questo Festival si fa in una città in cui non c’è un cinema, da oltre vent’anni. L’idea, quindi, è lasciare un segno, non aver fatto un Festival – o farlo in futuro – fine a se stesso, ma lasciando un segno concreto: la notizia, quindi, comunicata appunto poche ore fa nella cerimonia conclusiva, è che dall’inverno 2023, con ogni probabilità, Tropea avrà una sala cinematografica, nello spazio di Palazzo Santa Chiara, proprio sede del Festival. Questo Festival non si vuole spegnere con l’edizione ma vogliamo nascano altre cose: la prima è nata appena abbiamo presentato il Festival, ovvero un imprenditore toscano, Maurizio Nieri, che ha sostenuto l’evento e che realizza divani esportati nel mondo, è stato rapito dalla bellezza di Tropea, e così sabato sera ha annunciato che una nuova poltrona, limited edition, che presenterà alla Fiera di Parigi a novembre, si chiamerà Blu e sarà da qui ispirata.
Quindi è un Festival locale, ma al tempo stesso già globale.
Sì, e grazie anche alle partnership importanti, anche se non considero il Festival ‘di Emanuele Bertucci’, ma di tutta la squadra, che mi ha supportato e… sopportato. Una di queste partnership è con Matera Fiction, anche loro alla prima edizione; un’altra con Trenitalia, con cui abbiamo fatto un’operazione di co-marketing: come ha annunciato il direttore operativo, Tropea è il secondo festival – con Taormina – che fa co-marketing con le Ferrovie: noi, dal primo giorno del Festival, siamo stati in Home Page su Trenitalia, un bacino da milioni di visitatori. Infine, abbiamo stretto una partnership internazionale con il Festival de Cine di Alicante, per cui ci ha raggiunti il direttore Seva e abbiamo presentato il corto che ha vinto da loro: sempre ieri sera, è stato annunciato che il corto vincitore qui a Tropea – The Delay (leggi news) – sarà ospite in Spagna il prossimo anno.
Ma lei, Direttore, non è ‘uomo di cinema’: qual è la sua storia e come arriva in questo mondo?
No, infatti, io arrivo da 37 anni di imprenditoria in settori completamente diversi, poi però succede che un giorno ti svegli e decidi che non ti piaccia più quello che stai facendo, e non è un film. Il tutto accade nell’azienda che tuo padre ha creato e quindi devi andare da lui e affrontarlo: sicuramente l’ho trovato in un momento di grazia, e nel 2017 gli ho detto che mi sarei preso un anno sabbatico; questo ‘anno’ mi ha rapito completamente, ho ripreso le mie passioni connesse all’arte e alla cultura, e così il cinema, riprendendo dapprima una rivista nazionale che curavo, ‘Mediterraneo e dintorni’, su cui scrivono nomi importanti, uno per tutti Carlo Piano, il figlio dell’architetto Renzo, che il mondo ci invidia. Non nasco nemmeno produttore, per esempio, quindi ho studiato da produttore e posso dire di essere l’unico produttore cinematografico calabrese: ho anche acquistato i diritti di un libro, Non chiamateli eroi, di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, tra cui c’è la storia di Cocò Campilongo, storia per un film sceneggiata da Nicaso Stesso e Giulia Zanfino (leggi l’intervista), per cui stimiamo di cominciare a girare a dicembre; il progetto potrebbe progredire con una docu-serie di più episodi, costruita tra racconto filmico e le testimonianze di esperti.
Per il Festival avete scelto di cominciare la prima edizione nel nome di Massimo Troisi, non un personaggio calabrese.
Però italiano; abbiamo cercato un nome che stesse simpatico a tutti, che non fosse di schieramento, e Troisi non può avere nemici. Molti mi hanno chiesto ‘perché non Raf Vallone?’: perché non volevamo che il Premio in suo nome, che il figlio Saverio porta avanti da tempo, fosse in qualche modo contaminato: il riconoscimento quindi continua il suo percorso, così come il Festival, però Vallone non poteva mancare, per cui ieri sera è stato appunto consegnato un premio in sua memoria.
È un valore aggiunto riuscire a usare un territorio, magnifico paesaggisticamente e quindi attrattivo anche per l’attività culturale, ma al contempo con connessioni palesi al cinema, però non provincializzando la manifestazione, anzi aprendola al massimo.
Mi sono aperto a raggera ma il punto da cui è partito il raggio è la Calabria, e non è un caso: sicuramente si possono essere commessi errori su cui lavorare per migliorarsi, ma certamente nulla è stato lasciato al caso, sin da concerto di apertura, eseguito da 45 orchestrali calabresi, della scuola di fiati di Laureana di Borrello diretta dal M° Malagò con la collaborazione del M° Giordano e del suo cantiere musicale. Quindi, Tropea è un Festival che si vuole aprire alla Nazione, e possibilmente anche fuori, così come fatto con Alicante, tanto che in settimana siamo anche usciti sulla stampa spagnola. Penso che come prima edizione possiamo essere soddisfatti.
Come guarda alla seconda edizione, magari desiderando qualcosa che non avete potuto fare e che auspicate?
Premesso che abbiamo fatto tutto in tempi strettissimi, per cui c’è stato magari poco tempo per una maggiore attenzione al Concorso dei corti, su cui vorremmo mettere ulteriore attenzione, valutando semmai anche una gara di formati più lunghi. Da domani inizieremo a pensare alla prossima edizione.
Ma non c’è un sogno nel cassetto da provare a realizzare?
Non sono superstizioso e quindi posso dirlo: il sogno nel cassetto è fare una serie tv, Tropea. Ricorda la serie Capri? Ecco, il mio desiderio è raccontare con quel tono, non parlare di questione cupe proprie di questa terra, ma un racconto leggero. Il soggetto già c’è, per la sceneggiatura abbiamo un nome importante italiano che per il momento non posso annunciare ma che s’è detto felice e onorato di scrivere: stiamo mettendo in piedi la squadra.
E così, la serie Tropea, potrebbe essere un’altra figlia di questo Festival. Quindi, tra un anno, la prossima edizione potrebbe essere l’occasione per presentare almeno un pilota?
Esatto: non è un sogno, è una speranza, poter ufficialmente presentare qui la serie.
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