Avati: “Per il prossimo film vorrei ancora protagonista Lodo Guenzi, straordinario”

Il regista, ospite al Tropea Film Festival, riceve il Premio alla Carriera: l’importanza del territorio, il ricordo di Capolicchio e Tognazzi, la riflessione sul genere e il prossimo film gotico


TROPEA – Pupi Avati arriva “sotto il cielo” di Palazzo Santa Chiara e il suo io-narratore incanta e affabula, prende la scena, con quella sua consueta ironica timidezza, con quel romanticismo poetico, con quel disincanto padano che fanno l’uomo prima e il regista poi. 

Maestro, questo è un Festival per cui il piccolo territorio è un fiore all’occhiello. Lei ha potuto fare cinema trasferendosi a Roma, ma l’identità di autore l’ha sempre mantenuta connessa alla sua Bologna. Qual è l’importanza del ‘locale’ per le differenti anime di questa arte?

 È importante ritrovare gli elementi essenziali legati alla provincia. In questi luoghi, ci troviamo veramente come a regredire nel tempo e nello spazio, ci troviamo come ai primordi del cinema: qui si comincia ‘oggi’ a fare un festival, si affronta un mare insicuro, si vorrebbe arrivare in America con la ciurma che non sa se voglia venire ma c’è un Colombo che desidera approdare, ed è da incoraggiare. Sono le situazioni che molti miei colleghi, nella loro orrenda schizzinosità, snobbano: al contrario, se c’è un luogo in cui il cinema è amato è questo, seppur con limiti e ingenuità da raffinare, ma tuttavia l’apprezzo tantissimo perché mi restituisce alla bellezza di un mondo passato. 

Lei, si sa, nasce autore di genere: La casa dalle finestre che ridono, un titolo per tutti. Sembra che il genere nel cinema italiano stia un po’ riconquistando terreno – da Lo chiamavano Jeeg Robot a Piove, per esempio -, è così, c’è speranza?

 Sarebbe bello tornassimo ad avere dei committenti acculturati, cosa che manca totalmente, perché ci si trova a interloquire con delle persone che fanno i film solo attraverso somme e sottrazioni: è evidente che se riuscissimo a riprodurre invece una generazione di questi, capace di tornare ad avere l’amore per il cinema, che ci ha tenuti in vita per 54 anni – a mio fratello Antonio e me -, tra cadute e risalite, più cadute che risalite, allora sì, questi film di genere potrebbero affermarsi. Io stesso adesso sto preparando un gotico, un film horror. Poi, un’altra questione è: come si fanno i casting in Italia? Ecco, pare sempre che se non hai quei tre o quattro ‘nomi’ non funzioni, ma non è così perché io per l’ultimo film – La quattordicesima domenica del tempo ordinario (2023) – con la Fenech, Lavia, Massimo Lopez e Lodo Guenzi, tutte persone che non vedevano un set da tempo, mi son trovato a ricevere un consenso, e comunque sono riuscito a realizzare un film, ed è una scelta che ho sempre fatto e che continuerò a fare. Lei mi dica chi, oltre a me, ha lanciato nel cinema Katia Ricciarelli o Diego Abatantuono?

A proposito di interpreti, in una recentissima intervista ha dichiaro che i suoi prediletti siano Mariangela Melato e Lino Capolicchio, suo attore feticcio e amico fraterno.

Gli attori migliori sono le persone timide, che hanno sofferto, quelle che si sentono inadeguate, che hanno avuto nel loro percorso di vita una sofferenza, e sono i migliori perché vulnerabili. Penso anche a Tognazzi, un attore che mi ha cambiato la vita perché dopo due disastri cinematografici totali, con una gran perdita di soldi, per cui mi son trovato disoccupato a Roma, lui si candidò – considerando fosse l’attore più pagato di quel momento – per La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone (1975). Lino, poi, aveva il talento della sensibilità, lui bastava mi guardasse e io – in qualche modo – gli suggerivo come avrebbe dovuto essere: ‘mi beveva’, tanto che mia madre, a un certo punto, mi disse ‘preferisco lui come figlio’. 

E, sempre a proposito di amici, e di Bologna, ha mai pensato di fare un film su Lucio Dalla?

 Sì. L’ho conosciuto meglio e più di tutti, perché l’ho conosciuto quando ancora non era ‘Lucio Dalla’, quindi potrei raccontarlo davvero, tuttavia se ne sono appropriati talmente in tanti per cui ho fatto un passo indietro e non lo farei. 

C’è la generazione dei bambini nati negli Anni ’40, penso a lei come a Bellocchio, che ha in questo momento anagrafico un’energia ‘invidiabile’. 

 La creatività ci deriva dall’aver vissuto i primi anni della nostra vita nella cultura contadina, che è fertile, ti costringe al racconto; in più, in me c’è anche il senso del sacro, che in Bellocchio manca, ma nell’ultimo film – Rapito – si propone, in un modo tutto suo, ma si propone; comunque, in generale si tratta della favola, del raccontare, ci sei e sei chi racconta; mia madre era fantastica nel raccontare, quindi io sono stato abituato e per me è un’urgenza, io non posso pensare di non raccontare, è una dipendenza. 

Nella generazione più recente degli autori del nostro cinema, intravede qualcuno che possa definire ‘erede’, nel senso di cineasta con il germe di una personale poesia narrativa, come quella che spicca in lei?

Con la mia poetica è difficile, poiché sono collocato geograficamente in un territorio che un tempo ha dato il massimo al cinema, i grandi registi un tempo sono stati tutti emiliani e romagnoli, mentre adesso questa cosa s’è spostata più al Sud. Tuttavia, ci sono registi straordinari, uno è Garrone, un altro Sorrentino, i fratelli D’Innocenzo o Mario Martone, che considero giovani perché non coetanei miei come Bellocchio: sono quelli emersi dopo di me, dimostrando di avere un’identità; adesso, mi sembra si sia tornati a essere ambiziosi, cosa che non è stata per molti anni con la produzione di un’infinità di commediole fatte dalla stessa panchina, molto ristretta, degli stessi attori; adesso, fortunatamente, si torna a tendere a essere un po’ ambiziosi sul piano della qualità.  

Non credo sia una sua paura, ma l’intelligenza artificiale è una prima donna da temere?

 L’intelligenza artificiale non è pericolosa per me, perché nel DNA le manca la sofferenza, il dolore e il senso di inadeguatezza, elementi fondamentali per fare il creativo. 

Dante è il suo penultimo film, un monumento da affrontare. Ha in mente qualche altro gigante da raccontare?

Mi sarebbe piaciuto raccontare la vita di Giovanni Pascoli, sono un pascoliano: mio padre e mia nonna morirono in un incidente stradale, il 10 agosto 1950, la notte di San Lorenzo, nella stessa curva e nello stesso punto in cui morì Ruggero Pascoli. Tutto il ciclo pascoliano del ‘fanciullino’ s’ispira a quell’evento terribile: la vita di Pascoli è la vita misteriosa di un poeta, a mio avviso straordinario, che nella scuola italiana aveva un grande ruolo, come Dante, ma poi sono stati quasi rimossi. Il cinema italiano, pensi, nelle sue manifestazioni ufficiali, dal David di Donatello ai Nastri d’argento, non ha immaginato di poter riservare a Dante nemmeno una nomination: ecco, io mi sono trovato completamente solo con questo film, che tra l’altro è andato anche bene, e invece loro sin son girati dall’altra parte, come d’altronde hanno fatto per vent’anni nei miei riguardi tutti quelli che non me l’hanno fatto fare: io ho dedicato tutto quel tempo agli studi su questo soggetto e nemmeno un riconoscimento per la sceneggiatura.

Il prossimo film l’ha accennato, e qualcosa si sa: a che punto della lavorazione si trova?

 Io, ormai da molti anni, prima scrivo il romanzo, in questo caso L’orto americano pubblicato da Solferino, un gotico molto duro, con il primo tempo negli Stati Uniti e il secondo nelle valli di Comacchio. 

E il cast, ci sta già pensando?

Vorrei che il protagonista fosse Lodo Guenzi. È una grande scoperta. Non lo volevo per l’ultimo film, mi era antipaticissimo perché apparteneva alla Bologna dei ricchi, pensavo fosse una persona supponente, ma al contrario è un essere umano straordinario. Spero che il committente, Rai Cinema, sia d’accordo con me sull’affidargli un protagonista così importante, anche pesante da portare sulle spalle di un ragazzo, di un cantante, ma Lodo Guenzi nel mio ultimo film ha già dimostrato di essere straordinario. 

Quando sono previste le riprese?

Non lo so ancora, ma spero novembre. 

Pupi Avati, dal Tropea Film Festival, riceve il Premio alla Carriera. 

01 Luglio 2023

TropeaFilmFestival

TropeaFilmFestival

Bertucci: “Dal Festival nascerà la serie ‘Tropea’, e la città avrà un cinema”

Il direttore artistico, nella cerimonia di chiusura, ha annunciato l’accordo con il Sindaco per aprire una sala entro l’inverno. Tra i progetti, anche un film da Non chiamateli eroi di Gratteri e Nicaso: set previsto per dicembre

TropeaFilmFestival

Vincenzo Mollica: “ciò che ho fatto al TG1, me l’ha insegnato Federico Fellini”

Il giornalista ospite del Tropea FF per parlare del maestro riminese con Anselma Dell’Olio, autrice di Fellini degli Spiriti e al lavoro su un docu-film dedicato a Gustavo Roll: “tutte le sere Federico arrivava alla redazione del TG per cenare insieme

TropeaFilmFestival

Totò Cascio, nel ricordo di ‘Nuovo Cinema Paradiso, “sogno di lavorare con Zalone”

È stato il piccolo protagonista del film premio Oscar, e al Tropea FF presenta La gloria e la prova, libro biografico, tra cinema e malattia: prefazione di Tornatore, postfazione di Andrea Bocelli. Dallo scritto, un cortometraggio su RaiPlay

TropeaFilmFestival

Il cortometraggio ‘The Delay’ di Mattia Napoli vince a Tropea

6 le opere brevi in Concorso: premiato il film che aveva debuttato ad Alice nella Città, protagonista Vincenzo Nemolato. La produttrice Alessandra Infascelli ha pubblicamente assunto l’impegno a visionare tutti i lavori


Ultimi aggiornamenti