VENEZIA – Una lunghissima standing ovation e applausi scroscianti per due grandi del cinema italiano. E’ una foto storica quella di Bernardo Bertolucci che consegna a Marco Bellocchio il Leone alla carriera di questo 68° festival. Un momento di grande emozione, in una Sala stracolma, alla presenza tra gli altri del ministro Galan e di molti collaboratori e amici del regista piacentino (un gruppetto sfoggiava una maglietta con su scritto “sorelle mai, amici sempre”). Tra loro alcuni di quelli che lavorarono a realizzare Nel nome del padre o che oggi l’hanno riportato a nuova vita: il musicista Nicola Piovani, lo scenografo Amedeo Fago, gli eredi di Franco Cristaldi, il figlio Massimo e la vedova Zeudi Araya, i vertici di Cinecittà Luce Luciano Sovena e Roberto Cicutto, la montatrice Francesca Calvelli, gli attori Renato Scarpa e Gianni Schicchi. “Non è una riconciliazione istituzionale, né un risarcimento ma il riconoscimento di una coerenza e di una libertà che va sempre riconquistata”, ha detto Bellocchio leggendo poche righe che aveva scritto ieri sul treno per non cadere vittima dell’emozione. In completo scuro, con camicia bianca senza cravatta, con sé aveva anche un disegno ispirato ai Pagliacci di Leoncavallo che ha regalato a Bertolucci. “E’ un’opera che amo e da cui vorrei fare un film, gli ha detto”. E Bernardo ha scherzato: “Lo metterò in cornice”.
Quasi coetanei, nati a non tanti chilometri di distanza, l’uno a Piacenza e l’altro a Parma, i due autori che hanno “portato prepotentemente il nuovo nel cinema italiano”, come ha detto Marco Muller, si sono scambiati gesti e parole affettuosi. Ha raccontato Bernardo: “Qualche anno fa, quando mi hanno dato la laurea honoris causa all’Accademia di Brera, c’era un signore che mi guardava adorante e che alla fine della cerimonia mi si è avvicinato per dirmi ‘io la seguo da sempre, dai temi de I pugni in tasca… Magari l’avessi fatto io quel film, magari avessi avuto quella rabbia”. E Marco: “Sì, ma in quella rabbia hanno cercato di pietrificarmi mentre io mi considero un rivoluzionario moderato, un ribelle che ha rinunciato alla violenza. L’assassino, il suicida e il pazzo non sono più i protagonisti dei miei film, ma continuo a stare dalla parte di chi è oppresso e credo che la libertà sia la cosa più preziosa per un artista, libertà di immaginare come quando ho fatto resuscitare Aldo Moro e l’ho portato a passeggio per le vie di Roma dando fastidio soprattutto alla sinistra”. “Invece mi hai sollevato dai sensi di colpa verso Moro”, gli fa eco Bernardo. Che aveva ricordato poco prima: “Tu amavi il free cinema inglese, io preferivo la nouvelle vague, tutti e due siamo stati percorsi dal brivido della psicoanalisi”.
In sala anche il presidente della Biennale, Paolo Baratta,
che considera questo Leone “uno dei momenti per cui ricordare per sempre questa edizione della Mostra”.
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