VENEZIA. Non era a Marlon Brando e a Maria Schneider che Bernardo Bertolucci pensò per i protagonisti di Ultimo tango a Parigi, film che incappò nella censura e nella condanna alla distruzione durante gli anni ’70. Altri erano i candidati: Jean-Louis Trintignant non accettò di spogliarsi, Jean Paul Belmondo rifiutò la parte ritenendo il film un porno, Alain Delon voleva produrlo ma non interpretarlo, Dominique Sanda era all’epoca incinta.
A svelarlo è lo stesso regista in Bertolucci on Bertolucci, il prezioso e intenso film-saggio di Luca Guadagnino e Walter Fasano, prodotto da Frenesy e Kimera Film con il supporto di INA, BBC, Rai Teche e Archivio Luce e presentato nella sezione Venezia Classici.
Si tratta di un ricco monologo di Bertolucci, di un viaggio lungo cinquant’anni, dal primo film La commare secca (1962) all’ultimo Io e te (2012), e la narrazione è affidata solamente a dichiarazioni d’intenti, riflessioni, emozioni e aneddoti del regista, senza nessun’altra mediazione. Un ininterrotto flusso di coscienza che è il risultato di una ricerca durata due anni in oltre 300 ore di materiale degli archivi di tutto il mondo.
Interviste, fuori onda, making of conducono lo spettatore, avanti e indietro nel tempo, attraverso le diverse e anche opposte fasi teoriche, politiche ed esistenziali della sua carriera artistica.
E allora l’interesse per la psicoanalisi, con brani di conferenza che Bertolucci tenne a Vienna presso la scuola fondata da Freud. L’iscrizione al Pci come reazione all’estremismo maoista di tanti amici, primo fra tutti Godard. Il cinema forse per non impazzire, per dare uno stile, una forma alla sua vita, per mettere ordine dentro il caos.
La risposta ironica a chi lo critica per aver utilizzato capitali americani per realizzare Novecento: “La più grande bandiera rossa della storia grazie ai soldi di tre majors”. La passione per il melodramma, per la musica di Verdi che lo porta in pellegrinaggio davanti alla villa del compositore insieme a un registratore da cui esce un brano del “Rigoletto”.
La soddisfazione e nel contempo l’ansia dopo i nove Oscar per L’ultimo imperatore. Il complesso rapporto con il padre Attilio, famoso poeta, di cui all’inizio seguì le orme come testimoniano le immagini della premiazione di Bernardo poeta nel 1962, presente il padre che preferisce non salire sul palco accanto al figlio. Il primo incontro, ancora ragazzo, con Pier Paolo Pasolini, scambiato per un ladro, in visita a Roma nella casa di famiglia.
E infine il regista che ci parla da quella sedia a rotelle su cui è costretto per un’ernia al disco operata male. Una condizione di sofferenza accettata solo dopo un lungo periodo di rifiuto e depressione, anche con ironia: “Mi sento un carrello umano, forse è una maledizione divina dopo tanti carrelli dei miei film”. E lui che pensava ormai di andare in pensione, si è ritrovato di nuovo sul set grazie al romanzo di Niccolò Ammaniti.
Il documentario è stato visto e approvato da Bertolucci che aveva chiesto di vederlo prima della proiezione alla Mostra, raccontano i due autori a ‘il Fatto Quotidiano’: “Appena arrivati ci dice: ‘In questo momento ho qualche problema nel rivedermi e ascoltarmi’. Poi continua: ‘Strano perché una delle mie parole preferite è ricordo’. Ci facciamo coraggio: ‘Allora vedrai che il film ti piacerà moltissimo’. Così è stato. In una casa di campagna. Bertolucci approvava Bertolucci”.
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