“Ci sono due tipi di scrittori, entrambi rispettabili, quelli chiusi nella loro torre d’avorio e quelli che guardano fuori e si buttano tra le persone. Io sono tra questi ultimi e non cambierò mai”: Bernard-Henry Levy, filosofo giornalista per ‘Paris Match’ e ‘La Repubblica’, reporter, scrittore è l’esempio classico, e anche molto francese, dell’intellettuale sempre militante. Alla Festa di Roma, con la sua ‘divisa’ di completo scuro e camicia bianca, la stessa che ha indossato pure tra i peshmerga curdi, ha portato oggi un film-documentario che mostra le sue missioni tra i conflitti più o meno dimenticati, la sua voglia di esserci e documentare.
Si intitola Une autre idée du monde (The will to see), co-diretto con Marc Roussell e il 28 ottobre, per La Nave di Teseo, uscirà il libro da cui è tratto, Sulla strada degli Uomini senza nome. Levy, 72 anni, documenta l’umanità in Nigeria, Ucraina, Somalia, Grecia, Bangladesh, Kurdistan, Libia, Afghanistan, negli stessi mesi in cui in Europa si pensa solo al Covid: inviato da un gruppo di giornali per raccontare luoghi di sofferenza e guerre dimenticate. “Avevo 22 anni quando ho raccontato la mia prima guerra , era in Bangladesh e da allora, sono passati 50 anni e io sono sempre lo stesso. Tanti intellettuali che conosco hanno cambiato giacca , io ho gli stessi sogni, le stesse speranze, e spero la stessa energia”, dice in un’intervista all’ANSA, “e anche la tristezza che mi resta addosso l’ho sempre avuta. Oggi se ne aggiunge un’altra però che prima non avevo: il mondo diventa sempre più egoista, sempre più feroce. Il sovranismo cresce, è una piaga e non c’era quando ero più giovane. Per l’Europa è un orizzonte cupo se non lotta questo sovranismo. In Italia siete stati bravi, sono molto felice del risultato delle recenti elezioni, finalmente una buona notizia, Salvini e i suoi sono in declino, state dando un buon esempio”.
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