L’occhio è sedotto, soddisfatto, affascinato. La potenza dell’immagine è indiscutibile, il mestiere sul 3D eccellente, la regia non da meno. È il 33 a.C. a Gerusalemme, sono Giuda Ben-Hur e il fratello Messala, secondo il romanzo originale di Lew Wallace del 1880, il centro della contesa, nel cuore del periodo in cui Gesù predica in quelle terre, incrociando così la propria vicenda con quella di Ben-Hur. È proprio Gerusalemme, ricostruita in una magnifica Matera tra i Sassi, a donare una delle inquadrature più spettacolari, nella panoramica aerea in allontanamento che, uscendo dal mercato – Ben-Hur e la sua sposa, Ester, biblica seguace di Gesù, tra i banchi e la gente – si apre su un quadro naturale di rara bellezza. Persistendo nella bellezza delle immagini, altra sequenza spettacolare è la battaglia navale nello Ionio dei romani contro i greci in cui tra sudore, acqua, vergate, sfondamenti di prue e sangue si consuma una delle carrellate visive che più mozzano il fiato, insieme – prevedibilmente ma sempre spettacolare – a quella della corsa delle bighe, colossale e adrenalinica, sia per la strabordante folla umana delle persone presenti ad assistere al gioco, sia per l’occhio meccanico che sta addosso al correre dei cavalli in gara e a tutti i dettagli della situazione, sull’infernale terreno di scontro.
La lavorazione 3D, sofisticata, raffinata, potente, riesce ad essere quasi sempre equilibrata, quasi per niente artificiale, fatto salvo qualche passaggio, come quello della battaglia sulla neve, in cui la mano è stata un po’ forzata e la caduta dei fiocchi arriva decisamente iperrealistica e così un po’ ridicola. Giuda Ben-Hur è Jack Huston, convincente nel ruolo, riuscito nel non far dominare troppo il ricordo impresso del volto di Charlton Heston, tutt’altra faccia; forse per la non prossimità di fisionomia è efficace questa resa più recente: iconografia molto cristologica per questo Ben-Hur, forse un po’ troppo, considerata anche la collocazione storica della storia, che s’incrocia espressamente con quella del Cristo e, infatti, la sbavatura della sceneggiatura s’avverte soprattutto nelle sequenze finali, in cui in fondo il racconto di Ben-Hur e Messala si è compiuto, ma s’insiste, per chiudere la narrazione, nell’includere anche l’ultimo passo della via Crucis e la crocifissione, passaggio che destabilizza un po’ poiché sembra sommare storie altre, dal Gesù di Zeffirelli a La passione di Cristo di Gibson.
La potenza dell’immagine la fa da protagonista ma, ad onor del vero, il film non è soltanto un grandioso effetto speciale, anzi il dosaggio tra “spettacolo per l’occhio” e parte parlata è decisamente equilibrato, così da non far vivere solo un immenso gioco d’artificio ma conferendo in fondo anche al romanzo originale il suo giusto spazio: tra gli scambi più belli quelli tra Ben-Hur e lo sceicco Ilderim, interpretato da Morgan Freeman, che sotto una cascata di dread sale e pepe, accompagna tutto il suo ruolo sorretto da uno sguardo umido e paterno che lo carica di profonda forza umana. Il film con la regia del russo Timur Bekmambetov è stato completamente girato in Italia, tra Matera e gli studios di Cinecittà, dove la MGM, già produttrice del pluripremiato e storico Ben-Hur del ’59 di William Wyler (11 premi Oscar) aveva realizzato già il prototipo.
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