CANNES – Mentre lavora alla serie sul caso Tortora (“mi hanno detto di non parlarne, spero che si farà, ma penso di sì”), Marco Bellocchio è di nuovo a Cannes, dove ormai è ospite fisso da diversi anni con film come Il traditore e Rapito e con la serie sul sequestro di Aldo Moro Esterno notte, oltre che per la Palma d’onore). Stavolta è venuto per presentare a Cannes Classics Sbatti il mostro in prima pagina, il suo film del 1972 con Gian Maria Volontè nel ruolo di un capo redattore reazionario (che ricorda in qualche modo il personaggio di Indagine su un cittadino, di due anni precedente). La versione presentata al 77° Festival di Cannes è quella restaurata in 4K dalla Cineteca di Bologna, in collaborazione con Surf Film e Kavac Film, con la supervisione dello stesso Bellocchio.
“Non è stata una cosa voluta. Mi hanno detto che Cannes Classics aveva invitato il film e ieri l’ho rivisto, per percepire se ci fosse un interesse nel pubblico. In passato lo criticavo di più, ma ora sarebbe autolesionista farlo. E’ un film semplice, con una serie di triangolazioni e con alcune profondità non casuali, determinate dalle interpretazioni di Gian Maria Volontè, Laura Betti, grande attrice dimenticata, e anche di Fabio Garriba che dà verità alla figura del giornalista Roveda, un cronista che crede al proprio lavoro e non può tollerare una manipolazione così brutale dei fatti. Ieri ho visto che alcuni giovani erano molto ammirati”.
Sbatti il mostro in prima pagina si ispirava al delitto di Milena Sutter per il quale fu dapprima incriminato un giovane extraparlamentare di sinistra, mentre poi il colpevole reo confesso si dimostrò essere il bidello del liceo della ragazza passato alle cronache come “il biondino della spider rossa”. Ma per Bellocchio divenne soprattutto l’occasione per affrontare il tema caldo delle connivenze tra informazione di regime, polizia e politica nel clima arroventato di quegli anni.
“Mi fa piacere questo recupero della memoria – spiega Bellocchio – anche in omaggio a un grandissimo interprete come Volontè con cui ebbi allora un rapporto di grande rispetto reciproco. Sebbene il film sia un po’ un caso unico nella mia carriera, perché non ideato da me, i temi di cui si parla non sono dissimili da quelli che abbiamo sotto gli occhi nella moderna società delle immagini e di una comunicazione che come sempre si confronta con le logiche del potere”.
In effetti il film, presentato dal direttore della Cineteca Gian Luca Farinelli, ha ricevuto una grande standing ovation in Salle Bunuel e molti hanno pensato a qualche legame tra il tema della stampa corrotta per scopi politici nello scenario iper politicizzato degli anni ’70 e l’attualità. “Siamo in un’epoca in cui tutti parlano direttamente di tutto, dicono cose orribili sul prossimo, ci sono le fake news. Su Tortora avrei voluto fare un film ma la sua vicenda non è contenibile in una durata limitata, ci vuole una serie”. E ancora: “Sono un cittadino e non ho competenza per commentare sulle leggi che riguardano la libertà di stampa. Ma mi colpisce l’impunità degli haters”.
Il regista brasiliano Karim Aïnouz sta lavorando al remake della sua celebre opera prima I pugni in tasca. “La cosa mi ha stupito moderatamente. A 84 anni devi pensare al presente, a quello che puoi fare ancora. Siamo coinvolti nel progetto, leggeremo il copione. Mi auguro che questo regista faccia una cosa completamente diversa. Non credo che potrà replicare “il mite vendicatore dell’Appennino”, come lo aveva definito Alberto Moravia in una recensione, non potrà avere Lou Castel e non credo che girerà a Bobbio”.
Sbatti il mostro in prima pagina è in qualche modo ancora attuale? Che impressione fa rivedere le immagini dei funerali di Feltrinelli o del comizio di un giovanissimo Ignazio La Russa a Milano? “Il film è vivo nella misura in cui c’è un pubblico che lo ha visto e apprezzato. Vedendolo ripensi a come erano le cose, ma non in modo nostalgico, io non sono nostalgico. Io e Goffredo Fofi, che riscrivemmo la sceneggiatura che avevo ereditato da Sergio Donati, non eravamo certo dei terroristi, ma facevamo parte di una sinistra radicale. Nel film, curiosamente e con i mezzi dell’epoca, riuscimmo a filmare una serie di cose che avvenivano in quei giorni: i funerali di Feltrinelli, che tutti pensavano fosse stato ucciso dai servizi segreti e che invece aveva partecipato all’attentato e per imperizia era saltato in aria. Poi Ignazio La Russa e poi una serie di manifestazioni. Riuscimmo a inserirci nella realtà di tutti i giorni. Anche la scena finale, nel letto asciutto del Naviglio, che divenne simbolica, la riprendemmo per caso”. E prosegue: “Su La Russa, oggi seconda carica dello Stato, posso dire solo che il tempo passa. Non solo i terroristi finiscono per diventare pompieri, come tanti garibaldini divennero conservatori dopo il Risorgimento. Il fatto che lui abbia questi busti del Duce, come tutti sanno, è una cosa nostalgica”.
I suoi protagonisti sono spesso personaggi storici realmente esistiti, con una prevalenza maschile. “Non solo. Vincere, un film ingiustamente non premiato, parlava di una donna, Ida Dalser. Ma una volta mia figlia lesse un mio soggetto e mi disse che non c’era nessuna donna. Non devo dire che amo le donne, lasciamo perdere. Adesso i francesi sono molto impegnati su questi temi, hanno una dimensione politica più dura, come si vede per la campagna nei confronti del povero Depardieu”.
E aggiunge: “Lavorai a un progetto su Madame Curie, ma poi lasciammo perdere perché lo stava facendo qualcun altro. Era un film europeo sul genio e la persecuzione dopo la morte del marito di questa scienziata anche accusata di essere ebrea. Un altro progetto che non sono riuscito a portare a termine è quello su Maria José del Belgio. La regina di maggio mi ha sempre affascinato, era una donna bellissima che fece un matrimonio combinato con il re Umberto II che era però omosessuale. Tanto che nella campagna elettorale per la Repubblica, Nenni disse che votare per il re era votare per un pederasta. Maria José fu ribelle ma ubbidiente, con Umberto ebbe quattro figli. Quando la guerra stava per finire disastrosamente cercò di avvicinare degli antifascisti che diffidarono però di lei. Forse ebbe un rapporto sessuale fugace con Mussolini. Il progetto mi piaceva molto, non ha trovato purtroppo molto interesse, pensavo che poteva essere interpretata da una grande attrice francese.
Cannes lo adora, si sente trascurato dall’Italia? “Qualche premio l’ho avuto anche in Italia. Comunque Venezia o Cannes, dipende anche da quando finisci il film. Certo, produttori e distributori si focalizzano su Cannes, ci sono registi che si preparano per Cannes e ottengono privilegi che io non ho mai ottenuto”.
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