“L’ultimo film che ho visto è stato ieri sera al Teatro dell’Opera di Roma, In questa storia, che è la mia (in sala 2-3-4 novembre), basato su un mio concerto dal vivo realizzato all’inizio dell’anno, quando i teatri erano chiusi: mi ha fatto una stranissima sensazione, affascinante e unica, perché non avevo mai visto un mio concerto con le persone intorno (ma sempre di fronte, stando sul palco), e ho avuto una stretta al cuore”, racconta un socievole Claudio Baglioni, ospite di uno degli Incontri Ravvicinati della Festa del Cinema di Roma, che sceglie non solo profili della Settima Arte, ma anche artisti a più ampio respiro, che nella vita e nella carriera abbiano una connessione con il cinema, e il cantautore romano – 70 anni compiuti lo scorso maggio – ne può vantare più d’una.
Partendo dal cinema più personale, quello di Claudio bambino e persona, il primo ricordo in “un cinemetto di Centocelle”, ma con un grande schermo, è per Zorro contro Maciste (1963) di Umberto Lenzi, di cui nell’Incontro gli viene mostrata una sequenza, che commenta: “Sono commosso (ride). È una cosa mitologica”.
E poi, c’è stato un altro “primo film”, guardato nella grande sala di un “cinematografo”, come ancora lo chiama Baglioni, ed è Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchino Visconti. “Credo di aver visto questo film per un errore di mio padre, ero piccolo per una storia così. Credo mio padre si fosse sbagliato, forse per il titolo, o forse perché uno dei figli fa la carriera pugilistica, e mio padre ne era un amatore incredibile: una delle sue pecche era che non riusciva a rinunciarci, mi portava nelle palestre delle periferie romane a guardare i combattenti. Ho fatto due anni di boxe, senza combattimenti, ma non faceva per me. Questo film mi è rimasto in mente perché anch’io un giorno sono arrivato a Milano, alla Ricordi, per fare un provino, e quando arrivai alla Stazione Centrale, a 15/16 anni, mi sembrò di arrivare in Scandinavia, cioè in un Paese straniero: nel guardare la stazione, i tram, sento un collegamento fortissimo. È un film dolente, veramente drammatico, dove già si sente la voglia di riscatto, la differenza dei paralleli, un film che ha dentro tanta sociologia”.
E poi, sempre nel territorio personale, il film prediletto, Blade Runner (1982) di Ridley Scott: “Per le cose che si amano di più, ci sono ragioni evidenti ma anche misteri. Inoltre, Vangelis, l’autore della colonna sonora, s’era innamorato del mio Questo piccolo grande amore: andai a conoscerlo, da lì venne fuori un album, E tu. Lui fu un precursore perché, senza le opportunità del digitale, con una serie di marchingegni riusciva a suonare atmosfere larghe e senza tempo, che in Blade Runner si sentono. Mi parlò di come Scott girò mantenendo la tensione: anche nelle sequenze senza presa diretta, sparava queste musiche a decibel altissimi, per conservare lo stato d’animo dark. In un mio album, Io sono qui – creato proprio pensando al cinema, a quell’istante in cui, sul nero finale, si resta come in punta di piedi, già pronti a sintetizzare il sogno – c’è la canzone L’ultimo omino, personaggio di un videogame, per cui uso la frase ‘Ho visto cose che voi umani…’. Ho sempre pensato che questo film sia dolorosamente umano”.
Tra i gusti cinematografici personali, Il mago di Oz (1939) di Victor Fleming, in cui Dorothy canta la melodia Over the Rainbow; Harold e Maude di Hal Ashby con canzoni di Cat Stevens; e Colazione da Tiffany (1961) di Edwards: “Questo è il caso di una canzone di Henry Mancini scritta apposta per Audrey Hepburn: lei non è una cantante, per cui dovettero scrivere un brano che non avesse una grande estensione; la canta bene, si sente che è un po’ legata, ma tutto l’insieme della commedia sentimentale è quello che tutti vorremmo vivere nella vita”.
Ricordando di quando a metà degli Anni ’80 gli fu proposto un film “pre-Romanzo Criminale” che l’avrebbe visto protagonista con Lucio Battisti, progetto che poi non proseguì, e – più ironico – della volta in cui gli offrirono il ruolo principale per un film di fantascienza soft core, “una richiesta strabiliante”, Claudio Baglioni racconta poi del Fratello Sole, Sorella Luna (1972) di Franco Zeffirelli: “Sono stato proprio pescato nel mucchio, era la fine del ‘70: Zeffirelli era reduce dal grande successo mondiale di Romeo e Giulietta, io ancora combattevo con i provini, e serviva un cantante alla RCA di via Tiburtina km12, in mezzo alla campagna; ero un interprete un po’ più collaudato, e Zeffirelli cercava una voce che potesse essere verosimile per il cantato di San Francesco, nel mondo: andai a cantare con una soggezione incredibile e poi è nata una sorta di amicizia/collaborazione; le prime idee musicali vennero commissionate allo scozzese Donovan, che lasciò, discutendo con Zeffirelli, poi le musiche ripresero affidate a Riz Ortolani, e io mi trovai a gestire i brani, come la chitarra all’inizio, che suono io. Inoltre, ho scoperto un luogo in cui sarei stato bene io come persona, Castelluccio di Norcia: un grande altopiano, una specie di padella sotto il cielo, me ne andavo lì a rasserenarmi. Ringrazio Zeffirelli per avermi ospitato in questo film e per avermi fatto conoscere uno dei miei posti della vita”.
L’Incontro celebra poi la più recente collaborazione tra Baglioni e il cinema, quella con Gabriele Muccino per Gli anni più belli, e ricorda anche quella del cantante con MediCinema, progetto del Policlinico “Gemelli” che porta i film ai malati in ospedale, per il cui spot diretto da Giuseppe Tornatore, Baglioni ha prestato la sua voce: “Le persone che hanno successo, i personaggi pubblici, è bene che ‘si facciano scusare’ per il successo, coadiuvati da qualche buona azione, seppur prestarsi a una causa porti con sé mille pregiudizi, ma l’importante è il risultato. Gli artisti, in una guerra contro le disgrazie del mondo, nell’esercito che combatte, non sono i fanti, ma hanno la funzione dei trombettieri, che suonano la carica. Ci siamo ritrovati a parlarne con Tornatore, a cui – a proposito di cinema – tra l’altro piace una frase della mia Fammi andar via: “In questo cine senza schermo”.
Baglioni conclude l’Incontro confermando di essere in procinto di partire per una tournée: “Comincerò dal Teatro dell’Opera di Roma, saranno 50 concerti, nei teatri di tradizione, in cui il “fortissimo” e il “pianissimo” si possano apprezzare. Lo faccio perché non ce la faccio più a non cantare!”.
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