Scritto con il figlio Tommaso, il nuovo film di Pupi Avati, Un ragazzo d’oro, in sala dal 18 settembre con 01, è quasi un testamento, storia in larga parte autobiografica di un regista che si considera un fallito, che dopo il suo suicidio lascia al figlio, con cui non è mai andato d’accordo, la pesante eredità del romanzo della sua vita rimasto incompiuto. E il giovane, un pubblicitario che vorrebbe diventare scrittore, si dedica al compito con sempre maggior identificazione nella figura paterna, di cui assume persino l’aspetto. “Questo Davide Bias è uno dei figli più belli che si possa immaginare, perché dona la sua salute mentale al risarcimento della figura paterna. Mi auguro che anche i miei figli raccolgano il testimone lasciato da me – dice il regista bolognese – come io ho fatto con mio padre, morto prematuramente quando avevo 12 anni. L’anno in cui morì era venuto a Roma con due amici e andò a Cinecittà perché avrebbe voluto produrre un piccolo film, pur essendo antiquario. Io sono riuscito a completare il suo progetto”. Interviene Tommaso Avati: “E’ vero, il figlio somiglia a me e il padre a lui. Abbiamo scritto la nostra storia, anche non ce lo dicevamo per un pudore ipocrita”.
Reduce dal buon esito al Festival di Montréal, dove ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura, Avati in conferenza stampa è affiancato da Giovanna Ralli (la madre) e Cristiana Capotondi (la fidanzata), assenti Riccardo Scamarcio (impegnato sul set a Londra) e Sharon Stone. Ma naturalmente si parla quasi solo della diva, la cui presenza ha “vampirizzato” mediaticamente il progetto. “Ho pensato immediatamente a lei per il ruolo dell’ex attrice canadese diventata editrice con attico a via Margutta. Doveva essere bella, carismatica e seducente. Il protagonista, non appena la vede in chiesa, al funerale del padre, deve restarne colpito. Sicuramente in America ci sono attrici più capaci di lei, ma poche sono autentiche icone”, spiega Pupi. Mentre il fratello Antonio, produttore insieme a Rai Cinema e Flavia Parnasi, rievoca il lungo carteggio tra gli avvocati della star e quelli italiani per definire la partecipazione, copione alla mano. Appena sette giorni sul set assediati dai fotografi. “Sharon Stone – dice Antonio – è la classica attrice americana in fase di leggero declino. Quando l’abbiamo incontrata, a Firenze, dove era stata a trovare Bocelli, era da sola, seduta su una valigia sul binario sbagliato e nessuno l’aveva riconosciuta. Poi è arrivata a Roma e i suoi capricci hanno cominciato a crescere. L’ultimo giorno, quando doveva girare la scena del bacio sulla panchina con Scamarcio, è sparita perché non voleva le tv sul set e mi ha fatto chiamare dal suo agente dall’America”. Pupi le attribuisce almeno un po’ di autoironia. “Ha accettato di accavallare le gambe per citare Basic Instinct a cui deve tutto”, ammette. E aggiunge: “Se ricapitasse, ci lavorerei di nuovo, e meglio. Anzi, sto pensando di richiamarla”.
Per Cristiana Capotondi quel tipo di divismo è anacronistico da noi. “Ma è stato divertente per me assistere allo scontro tra l’industria hollywoodiana e il cinema artigianale. Con lei che andava a fare shopping con la carta di credito di Antonio Avati, che terrorizzato la faceva seguire da un ragazzo della produzione per controllare dove avvenivano gli acquisti. Quando è entrata da Bulgari è sbiancato… Da Sharon Stone – prosegue Cristiana – ho imparato che ci vuole intelligenza nel gestire la propria bellezza, da Giovanna Ralli l’umiltà di una grande attrice dotata di una grazia particolare e di una femminilità mai aggressiva”.
Un film per molti versi anomalo, nella carriera di Avati. A partire dalla scelta di nuovi collaboratori, tra cui l’autore delle musiche, dopo la morte di Ritz Ortolani. Sostituito in qualche modo dal giovane Raphael Gualazzi. “Lo vorrei come attore in un mio film”, scherza Avati. E spiega: “Per trent’anni abbiamo avuto gli stessi tecnici e spesso anche gli stessi interpreti. Ma ad un certo punto succede che non c’è più la sorpresa, come in un vecchio matrimonio, allora bisogna rinnovarsi”.
Il regista australiano, è noto per il suo debutto nel lungometraggio con il musical 'The Greatest Showman'
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