Un orfano di guerra allevato da una cagnolina rimasta senza padroni. La storia che sta dietro il film animato Arf non è molto più complessa di questo: un Mowgli urbano che deve fronteggiare le peggiori atrocità che l’uomo abbia mai creato. Diretto da Simona Cornacchia e Anna Russo, il film è liberamente ispirato al racconto Il baffo del dittatore della stessa Russo ed uscirà nelle sale il 25 gennaio in occasione della settimana della Memoria. Seppure senza richiami diretti, Arf vuole offrire ai più piccoli una narrazione simbolica che li porti a conoscenza di ciò che è stato il nazismo, smascherandone tutte le contraddizioni attraverso il punto di vista puro e ingenuo di un bambino che sa solo abbaiare e di una cagnolina, che farà di tutto per salvarlo da un campo di concentramento.
Con leggerezza e uno stile grafico tanto semplice quanto appagante per gli occhi, grazie alla sua morbida eleganza, Arf racconta una fiaba delicata che riconduce all’essenza i concetti estremi di guerra e odio, contrapponendo loro i valori dell’amicizia e della famiglia. Arricchisce il progetto, la canzone di Tony Canto e Simone Cristicchi che accompagna i titoli di coda.
Simona Cornacchia e Anna Russo, quando è nata l’idea di trasformare il racconto originale in un film animato? Come nasce la vostra collaborazione?
Russo: Il testo nella mia testa è nato già in maniera visiva, l’idea era fin da subito quello di realizzarlo a cartoni animati. Il mio incontro con Simona è avvenuto molti anni fa. Io e lei abbiamo questa visione comune delle parole che si trasformavano in immagini. Non c’è bisogno assolutamente che ci diamo come vogliamo le cose perché Simona trasferisce per immagini esattamente quello che io ho nella testa. È un processo molto fluido e magico che ci permette di far passare le idee da una parte all’altra in una maniera che ci lascia esterrefatte.
Quale è stata la più grande sfida a livello tecnico di questa animazione così semplice eppure così espressiva?
Cornacchia: Vista l’esperienza ventennale che ho nell’animazione, ho giocato d’anticipo per non fare il passo più lungo della gamba, che poi è ciò che porta i progetti a trascinarsi per anni e a non venire conclusi. Sono stata strategica, diciamo furba, facendo delle scelte che portassero un’economia di sforzi e risorse. Ho scelto, per esempio, di fare tutti i soldati identici, perché non era importante stabilire una personalità. Così come i bambini, che hanno tutti gli stessi problemi e la stessa fragilità. Queste soluzioni si adattavano e avevano un significato per me. Per esempio, utilizzare scenografie ripetitive nel lager, aveva senso perché deve esser un posto grigio, noioso, triste. È stato utile rappresentarlo in questo modo e spero che arrivi anche una sensazione di oppressione e buio. Un tipo di linguaggio che punta alla suggestione, ragionando in maniera economica, valorizzando e investendo su quello che era la parte di compositing: la polvere, le luci, tutto quello che creava atmosfera. Non ho potuto fare tante finezze, che avrei voluto, ma per me l’importante è stato riuscire a concludere il film. Non è affatto facile.
A volte i limiti di budget favoriscono la creatività.
Cornacchia: Noi puntavamo molto a un’idea autoriale: essere il più onirici possibili, curare molto un’estetica che nell’animazione a livello industriale, per motivi di tempo e di costi, non è possibile. Il film è l’insieme di mille stili, assomiglia a tante cose, ma è qualcosa di particolare che ti rimane nella memoria.
Perché la scelta di non citare esplicitamente il nazismo, seppure lasciando riferimenti che, almeno per un adulto, risultano chiarissimi?
Russo: Abbiamo cercato di estremizzare tutte le situazioni e avere il nazismo come riferimento per il male peggiore possibile. Proprio per questo non lo abbiamo caratterizzato, non volevamo dare una valenza politica ai fatti, ma raccontare quello che è accaduto, nella sua estremizzazione.
Cornacchia: Le guerre sono tutte uguali e si ripetono. C’è solo il dolore. Nella guerra non c’è chi vince, ma solo nella pace si vince. Sarebbe bello che questo tipo di prodotto potesse stimolare il dialogo all’interno delle scuole. Ma non solo della guerra, perché Arf parla di amicizia e di famiglia. I più grandi, invece, possono cogliere le analogie.
Il personaggio del dittatore è squisito. Alto quando i bambini e forse altrettanto ingenuo. Charlie Chaplin è stata un’ispirazione?
Russo: Il grande dittatore è una bibbia per me. Avevo questa storia che mi girava in testa da tanto tempo e un giorno, mentre stavo lavando i piatti, mi sono sentita chiamare “Anna! Anna!”. Non capivo da dove venisse questo suono, poi mi sono accorto che era la parte finale di questo film che mi chiamava. L’ho trovato come un messaggio chiaro rispetto a quello che avrei dovuto fare.
Come cambia il mondo quando lo si guarda dal punto di vista di un cane?
Russo: Avrei dovuto partecipare un po’ di anni fa al Salone del libro di Bologna, ma non potei andarci per motivi di salute. Vedendo cosa presentarono, mi resi conto che raccontavano questi argomenti in qualche modo colpevolizzando l’essere umano. I ragazzi pensano: ok, è terribile, ma noi non c’eravamo, è tutta colpa vostra. E finiva lì il discorso. Io ho cercato di spostare lo sguardo, mi sono detta che il cane è l’essere più vicino all’essere umano e che poteva essere davvero obbiettivo. Mi ha permesso di parlare di argomenti terribili, come ad esempio il razzismo, perché i cani non si preoccupano mai del colore di un altro cane. In questo modo tante cose che fanno gli esseri umani sono diventate improvvisamente assurde e il cane sembra quasi meglio di noi.
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