‘Anywhere, Anytime’, Milad Tangshir: “Sulle orme di De Sica, gli autori tornino a parlare degli ultimi”

Il film d'esordio del giovane regista torinese di origine iraniana è l'unico film italiano in concorso alla 39ma edizione della Settimana Internazionale della Critica. Un racconto della vita dei rider sulle orme di 'Ladri di biciclette'


VENEZIA Anywhere Anytime è l’opera prima del regista torinese di origine iraniana Milad Tangshir, unico film italiano in concorso presentato in anteprima mondiale alla 39ª Settimana Internazionale della Critica. Un lungometraggio, scritto da Tangshir assieme a Daniele Gaglianone e Andrea Giaime Alonge – prodotto da Young Films, Vivo film, Rai Cinema e realizzato con il contributo del PR FESR Piemonte 2021 – 2027 – Bando “Piemonte Film Fund” e con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte – che attraverso il racconto di un solo weekend rivela le interminabili atrocità della vita da rider. Come nel capolavoro di Vittorio De Sica, Ladri di biciclette, la vita di un uomo cambia quando l’unico strumento che gli permetteva di lavorare – la sua bici – scompare nel nulla. Il giovane protagonista di appena 18 anni, interpretato da Ibrahima Sambou, attore non professionista come il resto del cast, intraprende così un’avventura infernale alla ricerca della sua bici, tra Porta Palazzo e la periferia di Barriera di Milano. Sul fondo di una Torino quanto mai reale, Tangshir restituisce il ritratto di tanti giovani costretti alla marginalità, persone invisibili che incontriamo ogni giorno e di cui sovente ignoriamo la storia. Un racconto potente, realizzato con sorprendente rigore, che risveglia lo spettatore dal torpore di una disumanità arresa allo status quo. Come ci racconta Tangshir, a quasi 80 anni da Ladri di biciclette gli autori devono tornare a puntare il proprio sguardo sugli invisibili che ci circondano.

Come nasce Anywhere Anytime?

Nel 2018 mi sono interessato al mondo dei rider, che rappresentava un fenomeno agli inizi, almeno a Torino. Mi sono reso conto delle marginalità che lo abitavano, italiani e immigrati per i quali questo lavoro era l’ultima spiaggia, mentre per altri era la prima. Era interessante capire da chi era composto questo nuovo mestiere di invisibilità: persone che hanno bisogno solo di pedalare e mostrare un telefono per lavorare. Molti non hanno documenti e non parlano italiano. Sono andato in giro con un rider senegalese un’intera estate, facendo consegne, stando in strada, e ho scoperto certe vulnerabilità. Mi sono reso conto di quanto una bicicletta possa cambiare la vita di alcune persone.

Il film riecheggia il racconto di un capolavoro come Ladri di biciclette

Mi è subito venuto in mente, ma non volevo fare un’operazione cinematografica o un remake, perché ovviamente nessuno se lo potrebbe permette. Volevo però usare quel pezzo di cultura italiana per riflettere su come, ancora oggi, una semplice bicicletta possa cambiare la vita di alcuni, i “ladri di biciclette” dei giorni nostri. Questa è l’idea che mi ha spinto a realizzare il film.

Fa impressione vedere come un capolavoro del dopoguerra ci guidi ancora a interpretare la realtà presente

Assolutamente. Purtroppo è ancora un’opera viva, perché in un certo senso le stesse dinamiche comandano le nostre strade.

Secondo te, servirebbe un nuovo neorealismo per raccontare i drammi del presente? 

C’è bisogno di autori che raccontino storie urnegenti, ma non per forza con un cinema povero o fatto di una certa estetica. È l’elemento delle storie che ci lega alla bicicletta, alla disperazione. Credo che sia necessario puntare lo sguardo sugli invisibili, sulle figure che vediamo tutti i giorni fuori dalle stazioni, nelle piazze, negli angoli delle strade. Questo è l’elemento senza tempo del neorealismo: non tanto una corrente, quanto un modo di fare. Non credo che debba esserci per forza la camera a mano solo perché racconti una storia di povertà. Penso semplicemente che ci servano autori che diano voce agli invisibili.

Pochi film raccontano, senza stereotipi, queste marginalità. Com’è possibile secondo te?

È una domanda complessa, che rivolgerei a tutti noi autori. Indipendentemente dalle dinamiche di produzione e dell’industria, bisogna spostare lo sguardo senza ripetere gli stessi errori di buonismo o di superficialità. Io non ero interessato a presentare una vittima, ma a raccontare persone complete, anche nelle loro ombre. A volte sembra esserci un tacito accordo per non vedere certe realtà, ma è necessario raccontarle.

È sbagliato dire che il tuo non è un film ottimista?  

No, evidentemente no. La verità delle cose è spietata, e non c’è motivo di edulcorarla o fare compromessi per il pubblico. Tradirebbe le storie delle persone che ho incontrato in due anni di ricerca, tra case d’accoglienza, centri per migranti, dormitori. Non ho esagerato né drammatizzato nulla; più del 90% delle storie sono basate su fatti visti in prima persona. Il film racconta un solo weekend, quindi anche piccoli eventi sfortunati possono diventare incubi per chi vive in situazioni di vulnerabilità. L’intenzione era essere realistico.

C’è qualche reazione che desideri stimolare nel pubblico con il tuo film?

Mi piacerebbe che facesse un pensiero sulle storie che ci sono dietro le persone invisibili, un rider o chi ti porta una bibita d’estate mentre sei al mare: sarebbe bello che uno si chiedesse quale storia c’è dietro quella persona.

Infatti è sotto gli occhi di tutti, il fenomeno dei rider è arrivato pochi anni fa ma è già una normalità accettata senza che nessuno si ponga troppi quesiti etici

Sì, infatti il titolo suggerisce proprio questo: questi ragazzi ti portano quello che vuoi, quando vuoi, “Anywhere Anytime”. È la storia di un poveraccio che vuole sopravvivere, ed è anche la forza del capolavoro di De Sica, che aveva una storia che vale “anywhere anytime”.

Quale altra umanità vorresti raccontare dopo Anywhere Anytime?

Mi piacerebbe continuare su questa strada. Ho un paio di idee legate al mondo degli immigrati, anche se non raccontano il lato dell’immigrato direttamente. Sto aspettando di capire quando proporle. Non è mai detto che un autore riesca a fare un altro film, quindi ho un po’ di ansia, ma spero di avere di nuovo il privilegio di raccontare un’altra storia.

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