Antonio Albanese: “Cetto La Qualunque ormai è un gesuita!”

​Nel trentennale dal debutto sul grande schermo, fresco dell’esordio nella regia operistica, l'artista arriva a #Giffoni53: da Epifanio al film in uscita a novembre, 100 Domeniche


GIFFONI – La sua prima volta al cinema è stata 30 anni fa, con Silvio Soldini alla regia di Un’anima divisa in due (1993): lui era un receptionist. Nel frattempo sono passati tre decenni e quasi una trentina di film e serie, di cui per il grande schermo anche cinque da regista, quasi sei – Uomo d’acqua dolce (1996), La fame e la sete (1999), Il nostro matrimonio è in crisi (2002), Qualunquemente (2011), Tutto tutto niente niente (2012), Contromano (2018), Cetto c’è, senzadubbiamente (2019). È annunciata per novembre l’uscita di 100 Domeniche, nel ruolo di un operaio.

L’ultimo film interpretato al cinema è Grazie, Ragazzi di Riccardo Milani (2023), ma Albanese è… pirandelliano, ovvero uno nessuno e centomila, perché non è “soltanto” Cetto La Qualunque o Epifanio, ma anche trascrittore, spesso, in forma di libro, dei monologhi più importanti dei suoi spettacoli teatrali, e inoltre doppiatore: sua la voce del Grande Topo ne La gabbianella e il gatto e, più di recente, Gedeone ne La famosa invasione degli orsi in Sicilia.

Se lo schermo – anche quello “piccolo” – l’ha mostrato in tutte le sue sfaccettature, dalle comiche alle malinconiche, Antonio Albanese – diploma alla Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi” di Milano – in queste settimane ha debuttato nell’Opera: sua la regia, all’Arena di Verona, del Rigoletto di Giuseppe Verdi.

Si racconta alla platea dei Giffoners partendo dagli inizi, proprio quelli biografici, dalle coordinate emotive e storiche che l’hanno portato al mestiere dell’attore: “avete di fronte un caso credo unico al mondo: vengo da una famiglia operaia e dai 16 anni, fino ai 22, ho fatto l’operaio: sono anche un discreto tornitore!”, ironizza infine. Ma poi “ho lasciato il certo per l’incerto, perché avevo incontrato una ragazza che mi aveva suggerito un corso serale di teatro a Milano, e lì ho captato la meraviglia del teatro; mi sono entusiasmato, e poi una mia carissima amica mi ha iscritto alla “Paolo Grassi”; era quasi un’utopia per me andare dal mio paesino a Milano, ma su 500 ne selezionavano 10 e mi avevano preso: quello, lo considero un giorno santo. Però, il secondo anno volevo lasciare, perché economicamente era complesso, ma il direttore, Renato Palazzi, mi disse: ‘se lasci ti ammazzo!’. E proprio in quel periodo è nato Epifanio: in uno spettacolo dedicato a Genet; grazie a Danio Manfredini, ho inventato proprio Epifanio; lo spettacolo era un dramma, ma io ho cambiato poi ‘il movimento’ verso un ritmo comico. Con Epifanio ho cominciato a guadagnare qualche soldino per mantenermi il terzo anno di Accademia.

Sono orgoglioso perché l’ho voluto e desiderato ma questo è un lavoro crudele perché c’è di mezzo anche il talento… perché a un certo punto ti devi dire ‘lo posso fare o non lo posso fare’. Bisogna provare… ma ricordate di studiare molto e voler poi dedicare la vita a questo: c’è bisogno di un impegno totale”. Albanese, a proposito dell’attore, riflette anche sul senso della maschera e del tempo: “L’attore ha bisogno di una maschera che cambia: ci sono attori comici che però non fanno più ridere, la maschera diventa anziana e il corpo si stanca, e tu devi cogliere quel momento e virare”.

Poi, aggiunge, come monito ai Giffoners aspiranti professionisti del cinema: “non fatevi mai influenzare. Bisogna aprire finestre diverse e guardare cose belle e brutte, ma… mai, mai, mai farsi influenzare, se quello è ‘il tuo corpo’ lo devi seguire… Io insegno ogni tanto e dico: partiamo da una pagina bianca; se tu interpreti un personaggio non lo devi recitare ma immedesimarti. Se ti immedesimi, leggendo, guardando, la fisicità la controlli con le intenzioni, di conseguenza diventa personaggio; non bisogna mai partire dalla fisicità, se no poi non riesci a ripulirlo. Se cerchi di diventare un muratore, se lo accetti e ti diverte, subentra anche qualcosa connesso alla musica: il corpo è uno strumento, le note sono 7 ma poi le variazioni sono milioni. E consiglio sempre di partire dal teatro: il teatro è sacro! La cultura lo è, incluso il silenzio”.

Impossibile avere sul palco Antonio Albanese e non chiamare in causa Cetto La Qualunque, di cui l’artista spiega l’epifania ma anche l’orrore che prova nel recitare la sua creatura: “Io sono di origine siciliana e sto alla politica come Formigoni sta al Kamasutra o come Polifemo sta allo strabismo. Comunque, 20 anni fa ormai, sono andato in giro a seguir comizi per l’Italia, sentendo cose come ‘sarò leale e circonciso’, parole dette da uno poi diventato senatore; allora ho creata una maschera legata a nessun tipo di personaggio: è un insieme, tra acconciatura e abbigliamento da esorcista, ma io mi vergogno davvero quando lo faccio, ma questo tipo esiste ovunque… Ecco, si tratta della politica improvvisata, malvagia, orribile”. Albanese, per restituire l’essenza di La Qualunque, ricorda quando “lo presentammo a Berlino: una proiezione con in sala il 70% di tedeschi, durante la visione nessuno rideva. ‘Madonna!’, penso. Finisce e parte un applauso pazzesco! Comincia il dibattito e parla un tedesco: ‘io non ho mai visto niente di più drammatico nella vita!’. Straordinario, no? Infatti io lo considero il mio personaggio più drammatico: è spaventoso, è una merda! Una maschera così potente è stata una soddisfazione. Ma…Cetto La Qualunque è stato superato, ormai è un gesuita!”, commenta, sott’intendendo che la politica e la società correnti siano molto più mostruose di quel suo carattere. “Una delle mie parole d’ordine è: rispetto. Bisogna sempre cercare di raccontare non la singola persona ma un sistema. Io non ho mai avuto problemi perché non ho mai proiettato il mio lamento verso ‘un angolo’ preciso. Certo, in un programma tv facevo l’intellettuale di Sinistra che scambiava Che Guevara per Jovanotti, e lì qualcuno…”.

Albanese poi punta sulla “questione di gusto”, e spiega che “il primo impatto con i personaggi è sempre duro: tu arrivi e sorprendi e il coraggio sta nell’andare avanti. Dopo un po’ viene captato il messaggio dal pubblico, ma captare tutti gli spettatori è un’utopia, però tu devi sempre procedere col tuo… gusto, senza mai farti influenzare. Per creare delle cose devi essere un grande osservatore e aprire tutte… le finestre possibili, dal centro sociale al circolo super esclusivo, è una grande fortuna aver questa curiosità: io ho amici da ‘quello che razzola’ a quello che ha fondato una banca, è molto importante per raccontare il tempo presente. Nei miei colleghi noto una ghettizzazione, ma per me è un grandissimo piacere frequentare tutti gli ambienti”.

di Nicole Bianchi

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