La costumista Antonella Cannarozzi: “La nomination mi prese alla sprovvista”

Suoi i costumi del film di Saverio Costanzo 'Finalmente l'alba', tra quelli esposti a Cinecittà Si Mostra. La costumista candidata agli Oscar nel 2011 per 'Io sono l'amore' di Luca Guadagnino ci svela i suoi segreti


In occasione del nuovo allestimento dei percorsi espositivi di Cinecittà si Mostra, il dipartimento educativo propone un programma di quattro appuntamenti destinati al pubblico degli adulti con delle speciali visite guidate agli abiti di scena e dei laboratori didattici rivolti ai bambini. Domenica 12 maggio dalle ore 11.30 è in programma il terzo appuntamento dedicato. Abbiamo intervistato la costumista italiana Antonella Cannarozzi, l’ideatrice degli abiti di scena del film Finalmente l’alba di Saverio Costanzo.

Lei è cresciuta tra i tessuti della sartoria di famiglia in Puglia, ma quando ha capito che il cinema sarebbe stata la giusta strada da percorrere e in cui esprimere appieno la sua creatività?

Ho fatto tutto un percorso in merito, a partire dal liceo artistico e poi l’Accademia di Belle Arti, ma fondamentalmente sin da piccola ho sempre avuto un grande amore per i tessuti, l’abbigliamento in generale e anche per la moda. Avevamo una sartoria ma papà aveva anche un negozio molto bello che aprì in concomitanza con l’arrivo del prêt-à-porter. Nonostante la sartoria continuasse a lavorare tantissimo, iniziava a proliferare anche la moda alla portata di tutti. Mi divertivo a giocare con gli scatoloni degli abiti, andavo alle sfilate fin da quando avevo sette anni. L’altra mia passione, oltre alla moda, è sempre stata il cinema e mio padre mi ci portava spesso. I genitori di una mia amica erano proprietari di due cinema, quindi giocavamo, studiavamo nel foyer e ci intrufolavamo alle proiezioni anche quando erano vietate. Due passioni che hanno sempre viaggiato di pari passo. All’Accademia scelsi la sezione di scenografia e in quegli anni c’era un percorso speciale sul costume alla quale mi appassionai moltissimo. Insomma, una passione che è cresciuta con me. Mi trasferii a Milano per frequentare Brera, lì di cinema ce n’era pochissimo, solo televisione e pubblicità, così quando uscii dall’Accademia iniziai a lavorare un po’ in questi due settori e riuscivo a mantenermi. Io però volevo fare cinema!

È stato molto difficile entrare nell’ambiente del cinema?

Si, abbastanza! Non è stato affatto facile soprattutto perché venivo da Milano. Milano, negli anni ’80 era moda e sfilate ma non era per il cinema. Così, con il mio amore per la settima arte mi sono detta “ma che ci faccio a Milano, me ne vado a Roma”. Arrivai nella capitale e, non avendo fatto le scuole qui fu tutto più difficile, magari se le avessi fatte a Roma sarebbe stato più semplice. Io ho diverse assistenti e stagiste che provengono dalle scuole e che spesso mi vengono proposte anche da Maurizio (Maurizio Millenotti, ndr) che mi dice “guarda c’è una ragazza particolarmente dotata falle fare uno stage perché sarebbe interessante”. Quindi l’inserimento proviene anche dalle scuole di Roma, oggi succede così ed è molto bello perché si può entrare in un mondo da stagista e poi man mano percorri la tua strada, infatti molte stagiste sono poi diventate mie assistenti. Invece, io, venendo da Milano, non ho avuto molti aiuti, ho dovuto far tutto da sola. Alcune fatiche si sarebbero potute risparmiare.

Si è scoraggiata quando ha visto che era così complesso acquisire dei contatti?

A Roma il primo anno è stata dura perché non conoscevo nessuno e mi sono detta: mi conviene fare altro. Mi ricordo che andai da un’astrologa bravissima – che ora non c’è più – e le dissi che avrei voluto cambiare perché era troppo difficile. A quel punto lei mi rispose “Ma cosa dici! Non fare questo errore. Non hai capito niente, questa è la tua vita ed è scritto”.

Lei è una grande appassionata d’arte, soprattutto contemporanea, volevo chiederle a quali artisti si ispira per la realizzazione dei suoi abiti?

Dipende sempre dal progetto. Io avendo fatto gli studi artistici faccio sempre riferimento a questi, all’accademia si lavora molto sull’arte. Ho fatto anche molta arte contemporanea (che amo tra l’altro) e mi ispiro ai fotografi tra cui Helmut Newton, Martin Parr, Elliot Erwitt, Diane Arbus. Tutto dipende dal periodo che devo affrontare, ad esempio per L’amica geniale ho guardato tanta fotografia di strada del post guerra. Ho una piccola biblioteca a casa mia da cui attingo per i vari riferimenti. Non avendo mai fatto veramente un’epoca troppo antica (sempre anni ’40 e ’50), attingo alla fotografia. Per un periodo più antico come il ‘600 o il ‘300 a quel punto bisogna guardare i pittori, per un lavoro con Saverio Costanzo, infatti, mi sono andata a guardare le opere di Francis Bacon come ispirazione per il colore. Lo stesso l’ho fatto per il film di Luca (Luca Guadagnino, ndr) Io sono l’amore e sono andata a studiare diversi artisti russi a livello di palette. In questo film per il vestito della festa indossato da Tilda Swinton mi sono ispirata a un dipinto di Sonia Delaunay. Una corrente artistica che ancora non ho mai usato come riferimento, perché non è ancora capitata l’occasione, e che mi piace molto, è il pop surrealismo con Ray Caesar che trovo davvero interessante. Penso infatti che Poor Things venga un po’ da quell’ispirazione lì, le creature sono uscite da quell’artista.

Le andrebbe di raccontarmi due aneddoti, uno positivo e uno negativo del corso della sua carriera?

Ce ne sono una marea. Il positivo sicuramente la nomination agli Oscar perché non me lo aspettavo minimamente. Si trattava di una piccola produzione di Luca, super indipendente e lui non era ancora il Luca Guadagnino che conosciamo oggi. Con l’aiuto di Silvia Fendi ha messo su questo film con molta fatica. Quando sono stata contattata non sapevo nemmeno che ci fossero le nomination ed ero a pranzo con Alba Rohrwacher (con cui sono ancora amica), mi ha chiamato il parrucchiere spagnolo del film tutto agitato dicendomi che ero stata nominata agli Oscar. Inizialmente credevo scherzasse e lui mi ha risposto “ti pare che ti faccio questo scherzo?”. Poi verificai su internet ed era effettivamente così. La ricorderò sempre come una cosa bellissima perché completamente inaspettata, il film non era nemmeno uscito in America, al massimo in qualche piccolissima sala per una settimana. Quindi mai avrei immaginato che l’Academy guardasse questo film. Aneddoti negativi invece sono tutte le aspettative disattese, progetti a cui tenevo e che non hanno visto la luce per vari motivi. Come per tutti, no?

C’è un regista o una regista con cui non ha ancora collaborato e che le piacerebbe incontrare?

Sono tantissimi! Ma rimarrò sul vago per non far torto a nessuno. C’è un grande con cui ho sperato di collaborare e con il quale ho avuto anche dei contatti, Bernardo Bertolucci. Tra l’altro si era congratulato con me per la nomination e mi ha voluta incontrare per farmi i suoi auguri per Los Angeles. È stato un autore internazionale che ho stimato e amato sempre per i suoi lavori, quindi mi sarebbe piaciuto lavorare e mettermi al servizio del maestro.

In mostra sono esposti i costumi di Finalmente l’alba: per la realizzazione dei costumi egizi da quali fonti ha attinto?  E invece, per gli abiti glamour da sera a quali stilisti si è ispirata?

Per quelli egizi mi si è aperto un mondo perché non avevo mai fatto un costume di un’epoca così lontana. Quando Saverio mi ha detto del peplum ho esclamato “oddio, l’Egitto”. Tutti gli sforzi erano condensati per cinque minuti di film. Mi sono divertita da morire e mi sono studiata tutto il periodo dell’antico Egitto in particolare Hatshepsut. Questa faraona, realmente esistita, è stata la prima donna che ha regnato per vent’anni. Dopo aver studiato quel poco che c’è su Hatshepsut, ho preso contatti con un egittologo del Museo Egizio di Torino che mi ha dato una serie di informazioni. Il problema è che non esistono testi scritti sull’abbigliamento egizio, tutto quello che loro hanno lasciato sono i dipinti, quindi ho capito che a un certo punto sarei dovuta andare avanti un po’ da sola basandomi sulle testimonianze. L’egittologo mi diceva “signora non le posso assicurare che Hatshepsut si vestisse da faraone perché in quel periodo alle donne non era permesso di vestirsi da uomo”. Io invece ribattevo “ma se è vestita così sui dipinti! A questo punto facciamo una seduta spiritica gli dissi. Hatshepsut è infatti dipinta come un uomo a torso nudo e con la barba, quindi abbiamo tolto un po’ di queste cose e abbiamo messo uno stringi seno come escamotage. Cleopatra invece già era Alessandrina quindi con contaminata dalla cultura romana, quello di Finalmente l’alba è stato proprio l’Egitto dei grandi faraoni con abiti molto diversi.

C’è un costume che la rende più fiera degli altri?

Io sono legata a tanti dei miei costumi. La faraona l’ho amata, ma un altro abito che mi commuove è quello citato prima di Tilda Swinton in Io sono l’amore. Che poi l’Academy mi chiese dei bozzetti del costume e io di corsa li cercai perché da Los Angeles mi diedero una deadline. Uscì il Los Angeles Times e non vidi inizialmente il mio vestito, poi Luca mi disse “Antoné, hai visto solo la prima pagina, gira!”

Bozzettista: Franca Sangiovanni

Ringraziamo Antonella Cannarozzi e Fremantle Production per i bozzetti concessi

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