Delicata, con una bellezza duttile che si presta a giocare con l’anonimato, Anita Caprioli, non ha ancora tutta la popolarità che merita. Forse per una discrezione un po’ nordica (è nata a Vercelli e cresciuta a Milano). Forse per un certo gusto intellettuale: si è formata studiando danza classica e teatro. Spesso nel cinema è stata una fidanzata un po’ nevrotica, icona ideale per l’immaginario contemporaneo di autori come Salvatores o Verdone. Stavolta, in Uno su due di Eugenio Cappuccio, è Silvia, una ragazza bella e normale, che cerca di restare accanto al suo uomo nonostante la sua malattia, ma scopre che il loro, tutto sommato, è solo l’incontro di due single.
Cosa ci racconta di Silvia?
E’ la fidanzata di Fabio Volo, un giovane avvocato in carriera che tenta la scalata sociale, professionale e umana con tutti i mezzi a sua disposizione. Ma a un certo punto c’è come un fermo immagine nella sua vita e lui deve rimettere tutto in discussione. Tra l’altro anche il rapporto con me…
Silvia insomma è solo un dettaglio, per quanto affascinante, nella vita del suo uomo?
Beh, spesso i personaggi femminili che ho interpretato erano funzionali ai protagonisti maschili. Il cinema, del resto, racconta la società. Non c’è niente da fare. Ecco perché il cinema francese ha un’apertura diversa rispetto al femminile. È uno specchio della realtà. In Italia ci sono pochi autori che vedono le cose diversamente: Antonio Capuano, con cui ho lavorato per La guerra di Mario. E poi mi vengono in mente Martone e Corsicato. Sono due napoletani: si vede che Napoli è una città dove il femminile è più forte.
Ci resta molta strada da fare per essere protagoniste a pieno titolo?
Si dice che oggi la donna è libera, ma secondo me è in parte un’illusione. Per esempio la donna per ottenere il valore che ha in quanto madre, deve rinunciare a tante altre cose. Devi essere moglie, madre e donna in carriera: tutto contemporaneamente e devi fare tutto in modo perfetto. Ci chiedono prestazioni eccezionali, che una volta non erano assolutamente necessarie. In più dobbbiamo continuare a soddisfare il desiderio maschile, così il corpo della donna viene strumentalizzato di continuo. Prima eravamo inconsapevoli, ora lo sappiamo anche noi, ma è molto difficile tirarsi fuori da questo ingranaggio.
Qual è il cinema che ama?
Mi piace il cinema europeo, soprattutto quello italiano e francese, poi anche gli autori danesi e sicuramente gli orientali, Wong kar-wai specialmente. Citerei, tra i miei preferiti, Gianni Amelio e Giuseppe Tornatore. Ma in Italia siamo pieni di giovani talenti e credo che il cinema possa ricercare strade nuove, proprio come fa il teatro sperimentale. Ecco perché mi attirano le opere prime: perché hanno dentro questa necessità di sperimentare.
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