“Volevo trovare un modo nuovo di raccontare una storia vera, vengo dal documentario e ho usato le tecniche del cinema del reale per suscitare le reazioni dello spettatore, perché se uno tira fuori una pistola vera ti si ferma il cuore, mentre se sai che è finta la cosa non ti tocca così da vicino”. A parlare è Bart Layton, regista britannico autore nel 2011 del doc L’impostore, qui al suo debutto nella fiction con American Animals. Il film, rivelazione del Sundance tanto da far considerare Layton tra i papabili per la regia del prossimo James Bond, è un heist movie basato su eventi realmente accaduti e racconta la storia di una delle più sorprendenti rapine della storia americana. Protagonisti sono Barry Keoghan (Il sacrificio del cervo sacro, Dunkirk) e Evan Peters (X-Men, American Horror Story) nel ruolo di Spencer e Warren, due amici cresciuti a Lexington, nel Kentucky, che studiano all’università ma vogliono dare una svolta alla loro vita. Decidono così di rubare un rarissimo libro antico, che malgrado l’enorme valore viene custodito nella biblioteca universitaria senza particolari misure di sicurezza, per farlo reclutano altri due compagni, il contabile Eric e lo sportivo Chas. Il film racconta la progettazione e l’esecuzione della rapina mescolando continuamente realtà e finzione in una miscela avvincente.
Layton è rimasto affascinato da questi ragazzi – una storia la loro in qualche modo analoga a quella raccontata nel film messicano Museo Folle rapina a Città del Messico: “Volevo scoprire come un gruppo di studenti provenienti da famiglie benestanti potessero commettere un crimine simile. Così ho cominciato a scrivere delle lettere ai quattro, che erano in prigione. All’inizio erano ben contenti di condividere le proprie emozioni con qualcuno perché le loro famiglie erano uscite distrutte dalla vicenda e i loro genitori non volevano saperne di loro. Erano restii a entrare in un film, ma alla fine hanno capito che raccontare la propria storia poteva aiutare qualcuno”.
E’ interessante scoprire le motivazioni di questi quattro criminali per caso. “Vivevano in una bolla, una sorta di realtà alternativa – spiega ancora Layton – cercavano delle esperienze che li facessero sentire vivi, unici, fuori dall’ordinario. Così si sono messi a studiare i film del genere, tipo Oceans 11, e sono diventati sempre più riluttanti ad abbandonare la loro fantasia”.
Anche Layton si è nutrito di riferimenti cinematografici, specialmente Quel pomeriggio di un giorno da cani. “Mi piace quel film perché parla di qualcuno che non era un criminale dalla nascita. Spencer è il classico bravo ragazzo che non ha problemi, vive una vita normale e ha una famiglia che lo ama”. E aggiunge: “Questi giovani sono stati terribilmente ingenui, non cattivi. La loro storia è una storia dei nostri tempi in cui c’è una forte pressione a lasciare un segno nel mondo. Tutti si chiedono come diventare speciali. Chi sta nella media è considerato un perdente, come dice Trump, ed è la cosa peggiore che ti possa capitare nella società americana. Ho una figlia piccola e mi chiedo spesso se i giovani riusciranno a definire il loro ruolo nel mondo”.
Una delle sfide del film, oltre a convincere i produttori a rischiare su un ibrido tra fiction e realtà, è stata proprio la scrittura. “Spesso mi venivano raccontate due versioni dello stesso episodio. Quale dovevo scegliere? Ho deciso di lasciare aperta la domanda e di mantenere entrambe le versioni per mostrare che la realtà non è affidabile. Ho seminato il germe del dubbio, ora sarà il pubblico a decidere dove stia la verità”.
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