VENEZIA – Lech Wałęsa, ex presidente polacco, premio nobel nel 1983 e leader del sindacato autonomo dei lavoratori Solidarność, fondato nell’80 in seguito agli scioperi nei cantieri navali di Danzica, inizialmente come organizzazione sotterranea e impostosi poi come movimento di massa e luogo fondamentale di incontro delle opposizioni di matrice cattolica e anticomunista al governo centrale, ha costituito con il suo carisma un personaggio fondamentale nell’evolversi della storia dell’intero blocco comunista. Oriana Fallaci lo incontrò nel 1981, per un contributo che poi sarebbe finito nel libro ‘Intervista con il potere’. Oggi, da quella vicenda, il grande maestro Andrzej Wajda ha tratto un film, Wałęsa – Man of hope (questo il titolo internazionale) che viene presentato fuori concorso alla 70ma Mostra di Venezia. A coprire il ruolo del protagonista c’è un convincente Robert Wieckiewicz, mentre nei panni di Oriana Fallaci troviamo un’intensa Maria Rosaria Omaggio.
Ieri Errol Morris ha dichiarato che gli uomini tendono a dimenticare la storia. E’ anche per questo che ha deciso di fare questo film?
Certamente. Ho visto la Polonia prima della guerra, sotto occupazione, con il comunismo. Non è facile valutare chi sia il colpevole e chi l’eroe, però sono sicuro che un eroe indiscusso dei nostri tempi sia proprio Lech Wałęsa. Era un operaio ed è arrivato a svolgere un ruolo politico importantissimo, cosa che prima di lui facevano solo aristocratici e intellettuali. E’ stato il primo tentativo di liberare il nostro paese dal giogo a cui era costretto ad avere successo. Wałęsa ce l’ha fatta senza spargimenti di sangue. Non è una cosa da sottovalutare.
Conosce Wałęsa molto bene. Ha scoperto qualcosa di nuovo facendo questo film?
Direi di no, mi sono servito di materiale storico che conoscevo già molto bene. Avevo già visto tutti i documentari, conoscevo perfettamente il suo modo di fare in pubblico. E’ stato una sorpresa proprio il rapporto con Oriana Fallaci. Il libro in Polonia era uscito solo in una traduzione clandestina, solo ora viene pubblicato ufficialmente. Ma a parte le parole della giornalista, mi ha sorpreso poter vedere sullo schermo Wałęsa insieme a lei. Ho capito che in quel momento c’era un lato di Wałęsa che non avevo mai visto. Come ogni buon polacco, voleva dare una buona impressione di fronte a una bella donna. C’era qualcosa di diverso dal solito uomo d’azione: voleva attirare l’attenzione di Oriana, apparire intelligente. Questa visione non l’avevo prevista dal materiale che avevo studiato. L’ho scoperta dopo. Il che mi ha permesso di dare al film una cornice nuova e interessante.
Forse per deformazione, ma in Italia si ha l’impressione che Solidarność fosse un movimento strettamente legato alla Chiesa cattolica e alla figura di Karol Wojtyla. Nel film Giovanni Paolo II non pare poi così influente…
Perché in effetti, secondo me, le discussioni tra Wałęsa e Wojtyla non sono state determinanti ai fini della nascita del movimento. E’ stato piuttosto fondamentale la visita del papa in Polonia. In quell’occasione tutti temevano che ci sarebbero stati problemi e rivolte. Ci si interrogò molto sul ruolo che avrebbero dovuto avere le forze di polizia. Ma non ci fu bisogno del loro intervento. I credenti si organizzarono da soli. Allora divenne lampante che la Polonia poteva autogovernarsi senza bisogno di un regime. Questo evento ha rinforzato molto il ruolo di Wałęsa e Solidarność, il che ha contribuito alla creazione di una Polonia indipendente. Inoltre con Wojtyla il paese ha acquisito un rappresentante molto importante a livello internazionale.
Ma non si può fare a meno di notare che Wałęsa firma un accordo con una penna su cui è rappresentato Wojtila…
Queste cose a volte nascono da sole. All’inizio pensavo che fosse un’invenzione di qualcuno del Solidarność, invece è stato tutto casuale. Davanti al cantiere c’era un piccolo mercatino e vendevano questi gadget. E’ stato tutto un caso. L’artista deve essere in grado anche di cogliere le piccole sfumature dei cambiamenti del mondo.
Lei si è reso immediatamente conto della portata del fenomeno? Lo ha appoggiato subito?
Nei primi giorni di sciopero io ero presidente dell’associazione del cinema polacco: ho incontrato Wałęsa al cantiere, e proprio grazie all’associazione siamo riusciti a ottenere il permesso di effettuare le riprese, non solo all’aeroporto e durante gli incontri ufficiali. Gli operai mi riconoscevano e mi chiesero “perché non fa un film su di noi?”. E’ così che è nato L’uomo di ferro. Si può dire che io abbia fatto il film su commissione di quel tipo che me lo chiese. Fu un successo enorme da 5 milioni di spettatori. Ottenne la Palma d’oro a Cannes. Poi arrivò la legge marziale che bloccò tutto, come si vede anche nel film di oggi. Erano anni molto difficili. Il ruolo decisivo di Wojtyla fu piuttosto nella liberazione di Wałęsa, che in quel momento era imprigionato.
Come ha scelto gli interpreti per i ruoli principali?
Ho trovato Robert incredibile per il suo modo di parlare e la sua capacità imitativa. Ho notato una grande somiglianza fisica ma anche la padronanza di quel linguaggio così specifico. A convincermi è stata soprattutto la sua professionalità. Gli ho detto che avremmo girato una scena il giorno dopo e lui ha risposto: ‘no, questa la facciamo tra dieci giorni, quando sarò pronto per la parte’. Di Maria Rosaria soprattutto mi ha convinto la precisione.
Chi è, per i giovani polacchi di oggi, Lech Wałęsa?
Non lo conoscono proprio. I miei attori sono invece più vicini a quella generazione e se lo ricordano bene. Per loro è una specie di supereroe. I giovani si facevano crescere i baffi per assomigliargli.
Gli ha mostrato il film?
Sì, e lo rivedrà anche stasera. Sarà con noi sul tappeto rosso. Però non gli ho chiesto niente, né in fase di sceneggiatura né di realizzazione. Non volevo pressioni e non volevo che si creasse calca attorno a lui.
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