ORTIGIA – “Ho iniziato a 18 anni come assistente di Giuseppe De Santis e frequentavo Cinecittà, che è sempre stato un luogo del cinema magico”. Inizia così la nostra intervista con il presidente di giuria dell’Ortigia Film Festival Andrea Purgatori, giornalista, sceneggiatore e attore, che ricorda con piacere le sue esperienze professionali a Cinecittà: “Gli americani l’hanno riscoperta, anche in virtù di norme che finanziariamente aiutano le produzioni, il prossimo passo è far diventare gli studios di Cinecittà i più importanti di Europa. C’è da investirci, come per le sale cinematografiche”.
Approfondiamo il discorso sulle sale: ritiene siano ancora poco frequentate per un problema di mancato rinnovamento?
Basta girare per l’Europa per rendersi conto che le sale cinematografiche su cui hanno investito hanno di fatto attratto più spettatori, in Italia non siamo stati capaci di fare lo stesso in termini di rinnovamento.
È un problema di sale oppure dei film proposti in quelle sale?
Entrambe le cose. Temo si producano troppi film, la quantità va a discapito della qualità. Poi ci stiamo confrontando con la delusione delle piattaforme: abbiamo atteso il loro arrivo come l’arrivo del Messia, pensando che avrebbero finalmente garantito ai prodotti italiani quel salto verso l’internazionalità che aspettavamo. Così non è stato, inoltre procedono decidendo fino quasi all’inquadratura tutto ciò che deve essere fatto, allevando così “esecutori”, più che autori. Bisognerebbe far emergere talenti e qualità, invece.
Ha scritto, tra gli altri, Fortapàsc di Risi sulla figura del giornalista Giancarlo Siani. Ritiene che oggi il nostro cinema sia ancora capace di raccontare i tempi che viviamo?
Nei festival capita di vedere film di paesi come l’Iran che raccontano storie di famiglie in villaggi sperduti con cui chiunque si può riconoscere ed identificare. La forza del nostro cinema una volta era questa, essere italiano ma saper parlare a un pubblico universale. Oggi lo fanno ancora alcuni autori, penso a Bellocchio, Giordana, Vicari. Con Giordana sto lavorando al progetto La zona grigia sulla mafia, ci crede se le dico che fatichiamo a metterlo in piedi?
Come mai?
Ci sono molte paure, su tutte quella di investire su un’operazione di racconto in cui si vanno a toccare i centri del potere. Altrove queste paure non ci sono. C’è da chiedersi perché in Italia abbiamo ancora entità intoccabili cinematograficamente parlando, basti pensare che il primo e unico finora a mettere sullo schermo il Quirinale è stato proprio Giordana in Romanzo di una strage. Occorre più coraggio, artistico e soprattutto produttivo.
Ha in arrivo quattro film da attore: in quali personaggi si calerà?
Sarò un giornalista nella serie The Bad Guy con Luigi Lo Cascio, uno psicologo nel nuovo film di Alessandro Aronadio, me stesso in una serie docu-crime Netflix in inglese su Emanuela Orlandi in cui sarò una sorta di guida. E tornerò nei panni dell’avvocato Kalemzuck nella nuova stagione della serie Boris.
Boris spicca tra i titoli più attesi: che aria si respirava sul set?
Ci siamo divertiti come pazzi, io poi ho molte scene con Antonio Catania che è da sempre una garanzia in tema di comicità. C’è solo da sperare che Disney capisca che scegliendo di fare Boris deve lasciare tutta la libertà possibile affinché venga realizzato il prodotto che gli autori hanno ideato e che il pubblico si aspetta.
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