Andrea Arcangeli: “il mio Bruno, un padre a un passo dal baratro”

Ospite dell'Ortigia Film Festival, dove accompagna il film Come pecore in mezzo ai lupi, Andrea Arcangeli ci racconta il suo personaggio, per cui ha dovuto perdere 15 chili


SIRACUSA – In contemporanea al suo primo weekend nelle sale italiane, è stato presentato nel Concorso Lungometraggi del 15mo Ortigia Film Festival, Come pecore in mezzo ai lupi, opera prima di Lyda Patitucci con Isabella Ragonese e Andrea Arcangeli, un noir intenso e ricco di emozioni, che è stato accolto con grande calore dal pubblico siciliano accorso in massa nella splendida Arena Minerva al fianco del Duomo di Siracusa.

Ragonese interpreta una poliziotta infiltrata in una gang di criminali serbi a Roma. Pochi giorni prima del colpo più importante, scopre che suo fratello Bruno (Arcangeli) si è unito alla banda, spinto dall’esigenza economica e dal desiderio di fuggire con sua figlia, costringendola alla scelta più difficile della sua carriera.

Sul selciato di piazza Logoteta, abbiamo avuto l’occasione di parlare in esclusiva proprio con Andrea Arcangeli, uno degli attori italiani under 30 (li compirà ad agosto 2023) più celebrati in assoluto, grazie ai suoi ruoli da protagonista in film come The Startup, Dei, Il Divin Codino e nella serie cult Romulus.

Andrea Arcangeli, per ogni attore arriva il momento in cui si diventa padre, anche solo per finta. Dopo una prima esperienza ne Il Divin Codino, qui per la prima volta interpreta un personaggio che ruota interamente attorno al fatto di essere un padre. Come è stato entrare nei panni di Bruno e lavorare con la piccola Carolina Michelangeli?

Siamo partiti dalla backstory di Bruno per immaginare chi fosse, cosa gli fosse successo, per arrivare a questo punto. A un passo dal baratro lui decide che in qualche modo si deve salvare e lo fa per questa bambina, che diventa la sua ancora di salvezza. Lavorare con lei è stato in realtà molto facile. È stato bello fin dall’inizio fare i provini con le bambine finaliste, per poi capire con chi c’era più chimica, e anche imparare a lavorare con una bambina. Anche perché quella su Il Divin Codino era molto più piccola, per cui in qualche modo era più una bambola, la prendevi in braccio e le facevi fare delle piccole cose. Qui c’era proprio un’interazione. Mi sono affidato completamente a lei, alla piccola Carolina, che è stata perfetta.

Nel film c’è una scena molto forte e violenta che include la presenza della bambina, come avete lavorato su quella sequenza?

Con Lyda ci chiedevamo come Carolina avrebbe capito questa dinamica. Abbiamo fatto prima tutte le inquadrature sul pestaggio e poi quando siamo andati su di lei. Quando abbiamo fatto un primo piano sul suo volto, era già completamente scavato, atterrito, non c’è stato bisogno di dirle nulla di più. E per me bastava fissarla negli occhi mentre lei mi guardava con quel suo volto scuro – completamente cosciente e molto più matura dell’età che aveva, rispecchiando alla perfezione il personaggio – che le cose venivano naturali. È stato stranamente e felicemente naturale lavorare con lei.

Dopo il lavoro fatto sul suo fisico per interpretare un calciatore come Baggio, qui ha dovuto perdere 15 chili. Non so se l’hanno già definita il Christian Bale italiano, ma, dal suo punto di vista, quanto è importante lavorare sullo strumento del corpo per interpretare al meglio un ruolo?

È fondamentale. Delle volte per accedere a un qualcosa è più facile farlo da un punto di vista emotivo e provare a immaginare qualcosa di tuo al posto di quello che vive il personaggio e altre volte, come in questo, ti rendi conto che il fisico diventa il veicolo che utilizzi per accedere a qualcos’altro. Lavorando, ho capito che tante cose le riassocio un po’ agli studi che facevo all’università, molto teorici, sui metodi. Io non ho mai seguito un metodo, non sono mai stato seguito da un acting coach, per cui è sempre stato spontaneo il lavoro che ho fatto. Però mi sono reso conto che il famoso metodo delle azioni fisiche di Stanislavskij effettivamente funziona. A anche la biomeccanica di Mejerchol’d: usare il corpo per accedere a qualcosa. Poi lo fai, incosciente che stai attivando quel processo, e ti rendi conto che è vero. Grazie per il Christian Bale italiano, ma mi vergogno e non penso di meritarlo.

Come pecore in mezzo ai lupi è un’opera prima. Quanto è importante nella bilancia della valutazione di un ruolo il fatto che il regista sia affermato rispetto a, per esempio, come sia scritto il personaggio?

Che il regista fosse affermato o meno è sempre stato secondario. In primis è il testo che parla: se il testo funziona, abbiamo assistito a tantissime opere prime di registi che poi si sono affermati. Non è neanche la prima volta che lavoro con un regista all’opera prima. Ho conosciuto Lyda e mi incuriosiva molto vederla all’opera su un tema molto più noir e thriller, diversamente da come uno può pensare in automatico a una regista donna: che possa fare solo un film intimo. Non è affatto vero. Ha portato a casa un film che secondo me è costruito divinamente.

Come è stato lavorare con lei?

Lyda mi ha fatto sentire molto voluto per questo ruolo. Ci teneva che lo facessi io, per quanto appunto presentava molte difficoltà. Mi affido tantissimo al regista, io vedo l’attore come uno strumento nelle sue mani. Poi ci sono anche registi che ne abusano, massacrando gli attori. Ma sento che un film, in primis, deve rispettare la visione specifica di un regista.

Tra pochi giorni compirà 30 anni, come si sente a guardare indietro alla sua breve eppure intensa carriera?

Penso che sia sempre giusto sentirsi orgogliosi di vedere le cose che sei riuscito a fare, piuttosto che quelle che non hai fatto. Io ne ho fatto tante, più di tanti miei colleghi che magari non hanno avuto le stesse opportunità. Ma ci sono tante cose che sento di dover fare, che sento di volere esplorare.

Ad esempio?

Ci sono tanti ruoli che sogno di fare, tanti registi con cui sogno di lavorare. Il cinema è molto vario e mi piacerebbe un giorno scoprirmi in un ruolo diverso, non solo come attore. Vediamo, sento che mi piace, che si può fare. A 30 anni ho capito che vivrò facendo cinema, per il resto solo punti di domanda.

Come festeggerà?

Festeggerò penso con una cena con i miei genitori e con i miei amici di Pescara. Volevo fare festoni poi alla fine sarò con le persone importanti.

Persone importanti come sua madre, che so essere qui a Ortigia e che vedrà con lei il film stasera in piazza. A proposito, cosa vuol dire per lei partecipare a festival come questo, che ci ricordano un po’ la funzione sociale del cinema?

In queste situazioni in cui si è molto a contatto, si è molto vicini anche fisicamente al pubblico, sono quelle dove escono le reazioni più belle, senti i commenti migliori. Tante volte il cinema ti stacca dagli spettatori. Poi qualcuno scrive un articolo su di te, qualcun altro ti giudica, poi i social. Qui invece è dove si parla, si scopre. Sono stato adesso in Calabria in una piccola rassegna in quartieri difficili di periferia. Abbiamo fatto una proiezione de Il Divin Codino in una piazza molto piccola, dove però c’è una realtà molto pulsante. È stato bellissimo, c’era la gente che esultava quando Baggio faceva gol, anche se era un film. Per me queste sono cose stupende.

di Carlo D’Acquisto

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