VENEZIA – Conferenza stampa molto movimentata per Il signore delle formiche, in concorso alla Mostra di Venezia. Gianni Amelio, che ha raccontato il caso Braibanti in questo film prodotto dalla Kavac di Marco Bellocchio e Simone Gattoni con Tenderstories e Rai Cinema (in sala dall’8 settembre con 01 Distribution), ha avuto un pesante botta e risposta con un critico cinematografico (vi raccontiamo l’episodio nella nostra rubrica Onde dal Lido). Più tardi, negli incontri con i giornalisti, ha ridimensionato la sua posizione.
Certo è che questo film tocca in lui corde molto personali ed emotive, è una storia diventata quasi “autobiografica” per un amore infelice vissuto mentre era sul set e che non ha voluto nascondere. Il signore delle formiche è legato al suo documentario del 2014 Felice chi è diverso, in cui ripercorreva la storia dell’omofobia in Italia attraverso testimonianze di grande impatto umano e politico. Il plot si concentra qui attorno al processo per plagio subìto dall’intellettuale, poeta ed ex partigiano emiliano nel 1968. Un processo da tribunale dell’Inquisizione di cui ben poco si sapeva finché il cinema non è tornato a parlarne, anche con il bel documentario di Carmen Giardina e Massimiliano Palmese del 2020.
La versione di Amelio ha un sapore bellocchiano – l’atto d’accusa contro la famiglia e la religione – e contiene un evidente omaggio al poeta di Casarsa: nel rapporto tra Braibanti e la madre, strettissimo, sembra riverberarsi quello di Pier Paolo Pasolini con Susanna Colussi. Braibanti venne accusato di plagio – reato sancito dal Codice Rocco e abolito solo nell’81 – nei confronti di un suo studente. La famiglia lo sottrasse e lo sottopose all’elettroshock, mentre Aldo fu condannato a nove anni di carcere, in seguito a un processo molto mediatico accompagnato dalle proteste, più dei radicali che del PCI. E infatti in una scena compare Emma Bonino – com’è oggi – omaggio a quell’impegno sui diritti civili.
Nel film, con Luigi Lo Cascio nel ruolo dell’intellettuale di Fiorenzuola d’Arda (Piacenza), l’esordiente Leonardo Maltese (il giovane Ettore, nome di fantasia perché la famiglia non ha acconsentito), Elio Germano in quello di Ennio, figura di invenzione, un giornalista dell’Unità che viene in qualche modo censurato dal giornale (direttore all’epoca era Maurizio Ferrara, che invero difese Braibanti con parole di fuoco, leggi qui l’editoriale del 13 luglio 1968), mentre sua cugina Graziella (Sara Serraiocco) guida la contestazione. In conferenza stampa è apparso Franco Grillini, presidente onorario di Arcigay, visibilmente commosso: “La questione omosessuale non è risolta – ha detto – basti pensare al vergognoso applauso in Senato per lo stop alla legge Zan”. E più tardi il regista: “oggi il reato di plagio non esiste più ma ci sono altre forme di coercizione invisibili. Ho però fiducia che le cose miglioreranno. Vorrei che questo film desse coraggio a chi non può averlo”.
Il Braibanti di Gianni Amelio non è una figura accattivante o seducente, tutt’altro. Con la sua passione di mirmecologo preferisce osservare la società ordinata e solidale delle formiche piuttosto che conquistarsi le simpatie dei giovani allievi che infatti lo detestano e che maltratta. Tranne uno, il sognatore Ettore, a cui lo lega un sentimento delicato e insopprimibile.
Amelio ha raccontato la genesi del progetto, che nasce da un’idea di Marco Bellocchio. “Dopo Felice chi è diverso mi considerano uno specialista del tema. Con Aldo Braibanti ci eravamo parlati tante volte ma non ero riuscito a intervistarlo a quell’epoca perché non stava già bene. Avevo trovato dei documenti sul suo interesse per le formiche e poco più, quindi ho detto no alla proposta di Bellocchio di fare un documentario su di lui e ho rilanciato con l’idea di un film di finzione che ho voluto scrivere con due giovani sconosciuti come Edoardo Petti e Federico Fava”.
Per Luigi Lo Cascio, qui al Lido anche in Spaccaossa e in Chiara di Susanna Nicchiarelli, “Braibanti è stata una persona enigmatica con una sproporzione tra la grandezza artistica, come maestro e drammaturgo, e le sue fragilità nelle cose dell’amore. E’ un filosofo con idee molto chiare sulla propria innocenza, ma quando deve dire la sua e contrapporsi ai suoi persecutori sceglie il silenzio, un silenzio che mi ha molto colpito”. Elio Germano sottolinea come il film “parli di tante cose della nostra contemporaneità. La passione allora venne definita plagio, oggi viviamo in un’epoca in cui è sconveniente perché sono preferiti i numeri, l’arrivismo. Il mio personaggio non si riconosce in un lavoro che deve essere fatto solo per il successo e non per amore della verità”.
Amelio collega il film alla sua poetica: “C’è sempre nel mio cinema lo scontro e l’incontro tra due generazioni. È cominciato con La città del sole, il film sul filosofo Tommaso Campanella in rapporto a un contadinello ignorante ed è proseguito fino a Hammamet, dove c’è lo scontro tra il presidente e il giovane Fausto. Qui Leonardo Maltese è il mio miracolo, grazie a lui e a Luigi Lo Cascio, è stato possibile raccontare una grande storia d’amore. È limitativo dire che è un film sul caso Braibanti, è una grandissima storia d’amore tra un uomo e un ragazzo, molto autobiografica”.
Nel cast, nel ruolo della madre di Ettore, anche il soprano Anna Caterina Antonacci: “Dopo 40 anni di carriera come cantante, mi hanno proposto questo ruolo in modo inaspettato. Un personaggio senza scuse, senza luce. Sono riuscita a giustificare Medea ma non lei con la sua ottusità totale e la determinazione nel distruggere il proprio figlio”. Dei personaggi femminili, Amelio dice: “Sono quattro aspetti della coscienza femminile. C’è una madre che difende la sua posizione inesorabile e come molti genitori pensa che l’omosessualità sia una malattia. Certe parole sono state dette a me quando avevo 16 anni: un omosessuale ha due scelte, o si cura o si ammazza. Poi c’è la madre di Aldo, amorosa fino a dare se stessa. Quindi la ragazza moderna che fa il ’68 e protesta contro il processo a un invertito come si diceva allora. E c’è una ragazzina di 16 anni che è innamorata segretamente di Ettore e quando lo ritrova, nonostante sia sposata e incinta, si occupa di lui”.
Lo Cascio torna sul personaggio: “Mi ha colpito che non lo conoscessi. Vengo dal teatro, dall’accademia e dalla scena anche d’avanguardia, conosco bene artisti come Giancarlo Nanni, Memè Perlini, Carlo Cecchi, che frequentavano la sua casa, dove faceva teatro. Carmelo Bene lo considerava il suo maestro nel dire i versi e infatti il film inizia e finisce con la poesia che un modo della conoscenza, il linguaggio che trova la chiave per andare all’essenza delle cose”.
Infine sulla scelta di cambiare nome al personaggio di Ettore. “Non volevo farne un fatto personale – spiega Amelio – quella famiglia è simbolo della famiglia classica della provincia italiana in quel momento storico. Non potevo tacere il nome di Braibanti, ma l’altro l’ho voluto cancellare dallo schermo”.
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