Amelio: “Il primo uomo siamo noi”


“Chi sono i poveri?”, domanda un bambino a sua madre. “I poveri siamo noi, tuo zio Etienne, tua nonna ed io”, è la risposta della donna, che fa la lavandaia in un ospedale di Algeri. Brandello di dialogo tra il piccolo Albert Camus e sua madre nel film di Gianni Amelio Il primo uomo, ispirato al romanzo autobiografico che il filosofo francese stava scrivendo quando morì in un incidente d’auto, il 4 gennaio 1960. Quel manoscritto è stato pubblicato dalla figlia Catherine solo nel 1994 ed è la stessa Catherine ad aver vegliato sulla lavorazione del film, una coproduzione franco-italo-algerina (con Cattleya e Rai Cinema) che arriva ora nelle sale dal 20 aprile con 01 in circa 70 copie. “Il produttore Bruno Pesery – racconta Amelio – voleva i diritti di questo libro fin dal ’95, me l’aveva dato da leggere quando ero giurato a Cannes, ma la figlia non li aveva concessi e solo nel 2003 ha cambiato idea, pur ponendo clausole rigidissime, come l’approvazione sul film finito e non solo sulla base della sceneggiatura. Catherine non era inquieta a proposito della figura pubblica di suo padre, perché di lui ne hanno dette di cotte e di crude, ma piuttosto sull’aspetto familiare. Non voleva che suo padre o sua nonna fossero rappresentati in maniera distorta, che Albert Camus diventasse una figura convenzionale, uno che ha sempre la sigaretta accesa in bocca come si vedeva in un film tv”.

 

Alla fine Catherine è stata felice e ha scritto una bellissima lettera ad Amelio. Ha approvato la scelta di Jacques Gamblin nel ruolo di suo padre e accettato anche le libertà che il regista calabrese si è preso sovrapponendo la sua vicenda personale a quella dello scrittore, rappresentato nel romanzo, pubblicato in Italia da Bompiani, dall’alter ego Jacques Cormery. Appena insignito col premio Nobel, Cormery torna nell’Algeria scossa dagli attentati del FLN e ricorda la sua infanzia attraverso una serie di incontri, in un costante rimando tra emozioni private, temi esistenzialisti e argomenti politici. “Il mio passato nella Calabria degli anni ’50, somiglia molto al suo: ho vissuto un’infanzia povera, non ho conosciuto mio padre se non molti anni dopo, sono stato allevato da mia madre e da una nonna energica e severa, ho lavorato con mio zio, sono stato aiutato da un maestro a proseguire gli studi. E’ stato incoraggiante fare un film autobiografico dall’autobiografia di Camus, usando ad esempio per i dialoghi molti discorsi ritagliati dalle vicende della mia famiglia”.

 

Nel romanzo, spiega ancora l’autore del Ladro di bambini,  c’è molto di più, “è una saga enorme che comincia nel 1848, quando i coloni francesi arrivano nel Maghreb… Io ho scelto di raccontare solo l’anno della quinta elementare del piccolo Jacques, con il passaggio alla scuola media, e poi un mese del ’57, quando Cormery adulto torna a trovare l’anziana madre che non vuole lasciare il paese”. Il cast è tutto francese, con l’eccezione di Maya Sansa, nel ruolo della madre da giovane, mentre da vecchia è Catherine Sola. “Era una donna semplice, analfabeta e di modi sottomessi, ma capace di grandi gesti e grande fierezza”, racconta ancora il regista.

 

Quest’anno cade il cinquantesimo anniversario dell’indipendenza algerina, ma Il primo uomo uscirà in Francia solo a ottobre. “Non so se le ferite si siano rimarginate – dice Amelio – so che per adesso nessun giornalista francese ne ha parlato, mentre vari giornali algerini l’hanno recensito. Sospetto che il film venga visto come a favore dell’Algeria, invece è ben diverso dalla Battaglia di Algeri, che fu fatto a caldo, voluto dal governo algerino per celebrare, giustamente, la vittoria, nato dalla cronaca, quasi come un cinegiornale. Io ho fatto un film su una guerra tra etnie e credo che in questo sia sempre attuale, non solo nel Maghreb. Per i critici algerini questo è il primo film che storicizza in modo preciso le due posizioni opposte, gli estremisti dell’Algeria francese e i militanti del movimento di liberazione. La visione di Camus era molto complessa, diceva sì alla rivoluzione ma no al terrorismo, mentre Sartre era molto più netto e forse semplicistico nel rivendicare l’Algeria agli algerini tout court. Un altro punto di vista è quello del maestro di scuola che sostiene che qualche volta si deve stare dalla parte dei barbari, che contro il colonialismo non ci sono che mezzi violenti. Io ho cercato anche di interpretare la celebre frase che Camus ha pronunciato quando gli hanno consegnato il Nobel e che è stata spesso travisata e semplificata: ‘tra la giustizia e mia madre, scelgo mia madre’. Invece nel film, nel discorso che fa alla radio, si rivolge agli arabi: ‘se fate del male a mia madre, che ha sofferto le vostre stesse privazioni’, allora io sarò vostro nemico’.

Echi del presente? “Certo, anche se le riflessioni sull’oggi non sono state il mio punto di partenza, tantomeno in modo meccanico. Ma se mi chiedete chi è il ‘primo uomo’, rispondo che siamo noi, tutti noi”.

 

autore
16 Aprile 2012

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