Altro che “Hysteria”. Anche la Regina Vittoria amava il vibratore


Altro che pruderie vittoriana e gambe dei tavoli coperte per non offendere il comune senso del pudore. L’Inghilterra di fine Ottocento ha visto la nascita del sex toy per eccellenza, il vibratore, frutto della ricerca di un giovane medico dalle idee moderne e dell’estro di un suo amico dandy appassionato di congegni elettrici e invenzioni. Lo racconta Hysteria, il film di Tanya Wexler in concorso al Festival di Roma, che ha suscitato risate e risolini anche per il gadget distribuito dalla Bim, una versione mini e rosa dell’oggetto. Ma è Rupert Everett – un attore che vorremmo vedere più spesso in azione, ma che lavora poco da quando ha dichiarato apertamente la sua omosessualità – a strappare l’applauso in conferenza stampa con un’uscita degna degli annali del Festival: “La Regina Vittoria era un tipo sveglio, tanto che dopo la sua morte le trovarono un bel po’ di ricevute della farmacia scozzese per l’acquisto del laudano con cui si drogava… E poi col marito, il principe Alberto, se la spassava, lui era noto per avere un pene enorme che doveva tenere legato con un anello alla gamba sotto i pantaloni… Sotto la patina di rigore e frigidità, la Londra vittoriana era una capitale del piacere”. A ulteriore conferma, Hysteria ci mostra che un vibratore deluxe viene recapitato in dono proprio alla illustre sovrana.

L’americana Wexler, già autrice di Finding North, parla del film come di una “commedia romantica” in stile A qualcuno piace caldo e non di un film manifesto femminista, ma è chiaro che il succo sta tutto nel racconto di questa rivoluzionaria invenzione, che nasce nell’humus di idee progressiste osteggiate da una società ipocrita e restia al cambiamento. Così le signore, vedove o mogli insoddisfatte, fanno la fila per sottoporsi a un massaggio vaginale manu medica tutte vestite e coperte da una specie di baldacchino, ma senza mutande, con lo scopo di guarire dall’isteria, etichetta passe-partout dietro cui, all’epoca, si raccoglievano tutta una serie di patologie, dalla malinconia all’irritabilità. Il “parossismo”, come veniva chiamato l’orgasmo, alleviava i disturbi, ma solo fino alla prossima visita. Se ne rende conto il giovane medico Hugh Dancy lavorando nello studio del veterano Jonathan Pryce, che vorrebbe lasciare proprio a lui sia la lucrosa attività che la figlia Emily, ragazza modello, proprio quanto la sorella Charlotte è fuori dai canoni.

 

Gli sceneggiatori, Stephen e Jonah Lisa Dyer, marito e moglie, si sono molto documentati: “Abbiamo letto testi di medicina, libri sul movimento delle sufragette e sugli albori dell’elettricità”. In particolare le lotte per i diritti della donna e per l’uguaglianza tra i sessi hanno ispirato il personaggio di Charlotte, paladina dei derelitti e convinta sostenitrice dell’incompatibilità del matrimonio borghese con l’indipendenza della donna. La interpreta Maggie Gyllenhaal, attrice molto impegnata in politica, che di lei dice: “E’ una specie di animale selvatico, ribelle, folle, sensuale e adorabile”. L’interprete di Secretary e Crazy Heart, racconta anche di quando ha visto il film per la prima volta, a Toronto. “Tutti ridevano ma in modo un po’ imbarazzato. Si può parlare dell’orgasmo femminile senza creare imbarazzo? Forse oggi siamo più vittoriani di quanto si pensi”. Lo sceneggiatore invece confessa di aver parlato con molti uomini scontenti di questa celebrazione della penetrazione meccanica: “Ma io invece consiglio a tutti di abbracciare la tecnologia, che può essere un’altra freccia al loro arco”. Nei titoli di coda scorrono tante immagini di vibratori attraverso le epoche, fantasiosi e coloratissimi, adatti a tutti i gusti e le esigenze. “In America – racconta ancora la regista – hanno continuato a pubblicizzarli fino al 1920 sulle riviste di moda e di uncinetto, ancora oggi è molto diffuso e solo in Alabama è proibito, ma lì le donne lo comprano per posta o su internet”. Per chi volesse saperne di più ci sono un libro e un documentario. Il film, Passion and Power: the Technology of Orgasm, è diretto e prodotto da Emiko Omori e Wendy Slick, sulla base del libro scritto dalla sociologa Rachel Maines che svela il legame tracciato dalla cultura patriarcale fra l’insoddisfazione sessuale femminile e alcuni comportamenti disturbanti. Non a caso il vibratore divenne un simbolo del femminismo anni ’70. L’ultima parola all’impavida Maggie: “Una mia amica antropologa ne portò una cinquantina in Africa per regalarli alle donne che avevano subito mutilazioni genitali e non riuscivano ad avere un orgasmo clitorideo”.

 

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28 Ottobre 2011

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