Alice Rohrwacher: “Il pubblico è pronto per narrazioni nuove”

Nella sezione Best Of il film di Alice Rohrwacher La chimera, in uscita il 23 novembre con 01 Distribution. Con Isabella Rossellini, Josh O'Connor, Alba Rohrwacher


C’è una sezione della Festa del cinema di Roma 2023 intitolata Best Of che ha mostrato al pubblico romano film già passati – e magari premiati – in altri festival, come la Palma d’oro Anatomia di una caduta di Justine Triet o The Zone of Interest di Jonathan Glazer. Tra questi anche La chimera di Alice Rohrwacher giunto dal concorso di Cannes, selezionato a Toronto, New York e Telluride (dove ha ricevuto il prestigioso Silver Medallion Award, assegnato ad artisti che hanno dato un contributo decisivo al mondo del cinema).

Non si tratta di mere riproposizioni, almeno a giudicare dalla grande presenza alla conferenza stampa di Alice Rohrwacher e del cast rappresentato da Josh O’Connor, Isabella Rossellini, Alba Rohrwacher e Vincenzo Nemolato.

Il film, ambientato negli anni ’80 nel mondo dei “tombaroli”, conferma il talento visivo della regista, che si muove in un territorio a lei ben noto e congeniale, quello della Tuscia viterbese, costruendo una fiaba magica e piena di misteri sul rapporto tra oltretomba e mondo dei vivi, ma anche un apologo contro il capitalismo. Il protagonista, Arthur, è un archeologo straniero che ha scontato il carcere per aver preso parte alle razzie di un gruppo locale di ladri di corredi etruschi. Lui ha la capacità di sentire il vuoto, come il rabdomante sente l’acqua, ma si porta dentro una mancanza incolmabile, quella di Beniamina, la donna amata, figlia della matriarca Flora, interpretata da una magnifica Isabella Rossellini. Che afferma: “Ho grande ammirazione per i film di Alice, che ho scoperto attraverso Alba, conosciuta sul set del film di Saverio Costanzo. Quando mi ha mandato il copione de La chimera l’ho letto diverse volte. A un primo livello il film è una storia dei tombaroli, ma c’è un altro livello, più poetico e profondo, che ha a che fare non con la morte, ma con l’aldilà. Ci sono riferimenti precisi a Demetra, chiamata anche Flora, come il mio personaggio”. Aggiunge Alba Rohrwacher, che ha il ruolo di Spartaco, un personaggio negativo e predatore. “Rappresento la brama di ricchezza che affligge l’umanità. Nel mondo di Alice ci siamo divertite a creare per me figure sempre più nere, come la madre superiora di Pupille o questo. Ci ha dato la possibilità di osare e stupirci del lavoro che possiamo fare insieme”.

Alice Rohrwacher, l’uscita in sala del film è imminente, il 23 novembre con 01 Distribution. Cosa si aspetta?

Sono curiosa di quando tutti i tombaroli andranno a vederlo e pioveranno critiche dure, durissime. Scherzi a parte, credo che sia un film aereo che ha bisogno di radicarsi nel pubblico e sono sicura che il pubblico è pronto per forme narrative nuove, diverse. Abbiamo un pregiudizio negativo sugli spettatori, che sono più avanti di quanto pensiamo, specie i giovani.

Cosa l’affascina dell’archeologia e del mondo etrusco?

Il film parla in realtà della parte più oscura dell’archeologia, quella dei furti di cimeli. C’è un bellissimo libro di Fabio Isman, una pietra miliare sull’argomento, che si intitola I predatori dell’arte perduta. Lavorando sul passato e il tempo, ho voluto mettere nel film anche l’archeologia del cinema, quei supporti che hanno permesso alla settima arte di evolvere, dal 16mm al super16 al 35mm, ma anche dei momenti della storia del cinema che amo molto, legati alle origini, con un omaggio a Buster Keaton. Poi ci sono citazioni di Bud Spencer e Terence Hill. Una libertà che risplende e dà una luce al film.

Il territorio della Tuscia, a cui lei è molto legata anche per motivi biografici, ha attraversato tutti i suoi film recenti, da Le meraviglie a Lazzaro felice fino a questo.

E’ un territorio molto vasto, che va dal mare fino all’interno. Lì, tra le altre cose, ho sentito una frase che mi ha molto colpita: “sono i morti che danno la vita”. Mi sono chiesta cosa volesse dire. E ho pensato che fosse il luogo giusto per raccontare l’avvento del materialismo, per fare un film incantato sul disincanto, su quel momento in cui abbiamo deciso, in maniera atroce eppure burlesca, che non c’era più niente di sacro.

Questo è il terzo capitolo di una trilogia.

Tutti sperano che io abbia finito di narrare la Tuscia… (ride) Nel passato cerco una radice comune, che ci possa riconciliare gli uni con gli altri. Una memoria involontaria. Non sono nostalgica. Cerco di evocare una memoria. Lazzaro era la memoria dell’uomo buono, qui c’è la memoria della mancanza. Infatti a tutti i personaggi manca qualcosa: i soldi, l’amore, una figlia. Questa mancanza ci accomuna più di quanto possiamo pensare. C’è un legame tra questi tre film, il territorio è il luogo simbolico di una radice comune, essere famiglia, essere buoni, riconoscere le proprie mancanze.

Le dispiace che sia descritto come fiaba?

La parola “fiaba”, come la parola “femminile”, genera preconcetti. Per me la fiaba è anche qualcosa di duro, come la mela che sanguina, il vero che si squarcia in un’altra dimensione. Mi piace la narrazione popolare, quella dei cantastorie. In più avevo paura di essere fagocitata dal viaggio dell’eroe, che va di moda adesso ma a me sta un po’ antipatico, perché oltre al viaggio del singolo esiste un viaggio collettivo e perché non abbiamo più bisogno dell’eroe. I cantastorie raccontano la morale della storia e ci ricordano che non siamo dentro al film ma davanti. Noi già sappiamo che la storia finisce male, ma ci importa di come la trama viene svolta. Agli attori ho chiesto di essere dentro il personaggio ma di non prendersi troppo sul serio.

Che rapporto ha con l’aldilà?

Ho rapporto simile con il visibile e l’invisibile.

Cristiana Paternò
25 Ottobre 2023

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