Ali Abbasi: “Trump potrebbe apprezzare il mio film”

Il regista di origini iraniane in concorso al 77° Festival di Cannes difende The Apprentice. "Donald Trump non lo ha visto ma credo che non gli dispiacerebbe"


CANNES – Ascesa, caduta e risurrezione di un tycoon, The Apprentice Alle origini di Trump, biografia non autorizzata di Donald Trump dagli inizi negli anni ’70 quando era un giovanotto rampante e un po’ fesso che riscuoteva gli affitti per l’impresa immobiliare del padre fino alla vigilia della discesa in campo come futuro presidente degli Usa. Il tutto attraverso due relazioni fondamentali, tra pubblico e privato. Il rapporto con il diabolico mentore Roy Cohn (Jeremy Strong), avvocato squalo dai metodi sporchi e colluso con la mafia che lo allena a diventare un vincente e un “killer” ma che viene poi divorato dalla sua stessa creatura. E l’amore odio con la prima moglie Ivana (Maria Bakalova), modella ceca prima adorata, poi esibita come trofeo per i media e infine disprezzata (“hai il seno rifatto e non sono più attratto da te”, le urla contro prima di violentarla sul pavimento della lussuosa dimora in una scena già controversa): la madre di tre dei suoi figli era forse troppo intelligente per essere desiderata da un uomo che cominciava già a perdere i capelli e mostrava una pancetta che solo un intervento di liposuzione poteva ridurre, per non parlare dei problemi di erezione a causa delle forti dosi di anfetamine con cui cercava di recuperare tempo prezioso (“quando si dorme, non si firmano contratti”).

The Apprentice Alle origini di Trump, in sala con BIM, è il nuovo film del regista iraniano naturalizzato danese Ali Abbasi (Holy Spider) in concorso al 77° Festival di Cannes. Gli organizzatori della campagna presidenziale di Donald Trump si sono già risentiti e minacciano querele (vedi la notizia di Cinecittà News), ma il regista risponde: “Vedete il film, penso che a Trump potrebbe piacere”.

Il copione di Gabriel Sherman non parla di politica in senso stretto, piuttosto mostra tutto il marcio che c’è nel sistema di potere americano. “Non è un film su Donald Trump – chiarisce Abbasi – ma su un sistema e il suo funzionamento. Mostra la costruzione di questo sistema e come i potenti lo usano. Ci sono tanti che hanno fatto le stesse cose di Trump. Dal mio punto di vista, come iraniano, vedo che conservatori e liberali partecipano alla stessa vita, frequentano le stesse scuole e le stesse feste. In effetti ci sono due partiti politici negli Usa, i vincenti e i perdenti”.

Il giovane Trump si allena appunto a diventare un vincente, sacrificando gli affetti: il fratello maggiore, alcolista e loser, finisce per morire da solo, respinto quando chiede aiuto. Come l’avvocato Roy Cohn, omosessuale, ormai malato terminale di Aids, viene soccorso solo formalmente, mentre il suo compagno è scacciato dall’hotel di Trump a Manhattan in piena polmonite per non turbare gli altri clienti. Vediamo l’uomo d’affari (un ottimo Sebastian Stan) costruire il suo impero evitando di pagare le tasse (mette sotto ricatto i funzionari della città di New York per ottenere gli sgravi), edifica la Trump Tower e fa rinascere l’Hotel Commodore, apre i casinò di Atlantic City, ha una visione grandiosa e non ammette mai il fallimento (è una delle regole d’oro insieme a quella di aggredire per primo). Voleva dimostrare di essere migliore (o peggiore) del padre businessman Fred Trump (Martin Donovan), uomo coriaceo e razzista. E ci riesce.

Sebastian Stan (Orso d’argento a Berlino per A Different Man, grande trasformista) racconta di essersi preparato ventiquattro ore su ventiquattro con immersione totale: “Ho vissuto con lui, tutto quello che facevo lo facevo cercando di ascoltare le sue parole, l’ho approcciato come un essere umano. Come tutti, anche lui ha dei codici e dei principi”. E aggiunge: “Con Ali ci siamo presi dei rischi, c’erano cose poco piacevoli da fare e argomenti difficili da trattare”.

Abbasi non pensa di interferire nelle presidenziali americane, piuttosto ne trarrà vantaggio: “Promuoveranno il film, il secondo confronto tv tra i due candidati è in programma il 15 settembre, una buona data per noi per uscire”. Dopo aver invitato Trump a vedere The Apprentice e magari a parlarne con lui, Abbasi lancia un affondo sulla necessità di fare film politici nella realtà contemporanea: “Da 5 o 6 anni a questa parte il mio ottimismo sul mondo è stato messo a dura prova. Mi sento frustrato perché ho l’impressione che siamo troppo introspettivi e non guardiamo fuori di noi, restiamo in una confort zone mentre ci sono guerre, corruzione politica, altri orrori. Tutto questo ci riguarda. Non si può più parlare di arte con la maiuscola, siamo obbligati a scendere in campo, a prendere posizione”.

Maria Bakalova, l’attrice bulgara nominata all’Oscar per Borat, definisce Ivana Trump come “una donna che persegue le sue ambizioni e i suoi sogni in anticipo con i tempi”. E lo sceneggiatore Gabriel Sherman aggiunge: “Se provate empatia per il personaggio dell’avvocato che ha creato tanto danno alla democrazia, perché non dovreste provarla anche per Trump?”. E ancora: “Tante persone potenti a Hollywood mi dicevano che questo film non si sarebbe mai fatto. Ci vuole un po’ di follia a voler perseverare quando tutti ti scoraggiano. Dicono che Hollywood sia di sinistra, ma non è vero”.

“I mostri peggiori della storia – scandisce infine Abbasi – amano il loro cane e provano dei sentimenti in vari momenti della vita. L’idea di questo film è prendere un’icona e farla tornare a terra, decostruire le immagini mitiche di questi personaggi. Non vuol dire che gli perdoniamo tutto, ma cerchiamo di comprendere anche la sua complessità”.

 

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