C’è lo straordinario Alfredo Castro, attore feticcio di Pablo Larrain, nell’opera prima Los Colonos, in sala con Lucky Red e quindi in streaming sulla piattaforma MUBI.
Lo sceneggiatore e regista esordiente Felipe Gálvez costruisce un antiwestern violento e disperato per stigmatizzare il peccato originale della sua terra, il Cile, e in generale, si potrebbe dire, il colonialismo, che in America, come altrove nel mondo, ha sterminato migliaia di individui in nome della “conquista”. In questo caso gli indios, stroncati da malattie portate dagli invasori o più spesso uccisi dalla mano dell’uomo che prende possesso delle terre australi con ogni mezzo, per lo più illecito. Vincitore del Premio FIPRESCI nella sezione Un Certain Régard di Cannes e rappresentante del Cile agli Oscar, Los Colonos ha uno stile freddo, sporco ed estremo che cattura lo spettatore fin dal primo fotogramma soprattutto per la capacità di rappresentare quei vasti territori inospitali in modo magnifico e allo stesso tempo terrorizzante, sempre sotto cieli immensi e minacciosi.
Il ricco e spietato commerciante di lana – l’oro bianco – José Menéndez, proprietario di greggi di pecore e di vasti appezzamenti di terra sia in Cile che nella Patagonia Argentina (Alfredo Castro), invia tre mercenari a tracciare una rotta “sicura” verso l’Atlantico: il tenente scozzese Alexander MacLennan (Mark Stanley), il cowboy americano Bill (Benjamin Westfall) e il taciturno meticcio Segundo (Camilo Arancibia), scelto come guida per la sua conoscenza del territorio e per la buona mira. I tre male assortiti compagni di viaggio si addentreranno nella Terra del Fuoco e ben presto Segundo comprende che la loro unica missione è quella di sterminare gli indigeni. Centrale la scena in cui i due bianchi stuprano a turno una ragazza, dopo aver annientato un intero villaggio, e vorrebbero obbligare anche lui ad abusarne, minacciandolo di morte. Un altro episodio atroce è quello in cui migliaia di indios vengono uccisi a fucilate o annegati dopo averli invitati a un banchetto sulla spiaggia con fiumi di vino per stordirli. Una scena che viene solo raccontata e non mostrata, ma non per questo è meno sconvolgente. Del resto, gli stessi aguzzini sono a loro volta vittime di una brutalità che non sembra porsi alcun limite, una brutalità senza pari, omicida e rapace.
Scandito in capitoli, Los Colonos si conclude con un salto temporale di sette anni, che ci porta in una nuova dimensione politica in cui il Cile cerca di ricostruirsi una “verginità” rispetto agli abusi perpetrati e affermare la “giustizia”. In sostanza il film è un autentico redde rationem rispetto al passato colonialista delle Americhe. Tra le tante immagini disturbanti, rimane il volto della nativa che rifiuta di uniformarsi alle nuove buone maniere davanti alla macchina da presa dei bianchi.
Alfredo Castro, che di recente abbiamo visto nei panni di un Pinochet diventato vampiro nel film di Pablo Larrain El Conde, ha poche scene, in cui riesce comunque a mettere in campo la sua abilità attoriale nel dipingere l’atteggiamento rampante e autoassolutorio del latifondista senza scrupoli, dedito a prendere il tè nei bei saloni della sua dimora mentre la figlia maggiore suona il pianoforte per lui e per un alto prelato.
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