Alessandro Rossetto: il mio Veneto tra indipendentisti e crisi economica

In 'Piccola Patria', l'esordio del regista padovano, in scena quel Veneto dove si agitano il vento indipendentista e il rifiuto razzista del migrante. In sala il 10 aprile con Luce Cinecittà


Restare? fuggire? ribellarsi? Che possono fare due giovani ragazze ‘prigioniere’ del clima soffocante ed arido di una provincia veneta fondata sull’etica del lavoro e dei soldi? In Piccola Patria, opera prima del padovano Alessandro Rossetto. Luisa, solare, vitale e trasgressiva, Renata, introversa, ombrosa e carica di rabbia, sono amiche inseparabili con il sogno di andarsene da quella terra. In quel Veneto dove si agitano forte il vento indipendentista e il rifiuto razzista dello straniero, del migrante. I rapporti umani sembrano contaminati, le famiglie sono incapaci di sentimenti. Restano solo i riti collettivi a cui aggrapparsi: il comizio, la sala da ballo, la festa in stile country americano, il poligono di tiro.

Piccola Patria, distribuito il prossimo 10 aprile da Istituto Luce Cinecittà, è stato presentato in concorso nella sezione Orizzonti all’ultima Mostra di Venezia e in prima internazionale al Festival di Rotterdam nella sezione Spectrum, passerà in concorso il 6 aprile al Festival di Copenhagen.  
Il cast è composto da Maria Roveran, Mateo Çili, Roberta Da Soller, Vladimir Doda, Diego Ribon, Lucia Mascino, Mirko Artuso, Nicoletta Maragno e Giulio Brogi.
Da segnalare nel film il recupero del canto corale alpino, che verrà riproposto in una serie di concerti del PiccolaPatriaTour che vedrà l’interprete Maria Roveran cantare alcuni brani composti per il film, e altri del repertorio di Marco Guazzone&Stag .
Prodotto da Gianpaolo Smiraglia e Luigi Pepe, Piccola Patria è una produzione Arsenali Medicei e Jump Cut, con il contributo del MiBACT–DG Cinema, con il sostegno di Regione Veneto-Fondo per il Cinema e l’Audiovisivo, BLS–Business Location Sudtirol Alto Adige, Trentino Film Commission, Friuli Venezia Giulia Film Commission, sviluppato con il supporto del Programma MEDIA dell’Unione Europea.

Come è nata la sceneggiatura?
Siamo partiti dal soggetto scritto da me e Caterina Siena e in aiuto è poi venuto Maurizio Braucci, co-sceneggiatore di Gomorra, Reality e L’intervallo. Punto di partenza un fatto che ci aveva colpito: la mercificazione del corpo dei giovani e il loro destino. Avevamo poi raccolto storie di amore tradito o combattuto,  di dinamiche familiari intaccate dalla crisi economica.

Come è stato il passaggio dal cinema documentaristico a quello di finzione?
Diciamo che sono un finto esordiente. Nella mia formazione il confine tra documentario e finzione è sottile; sono un estimatore sia di Scorsese che di Kramer, sia di Tarkovskij che di Kosakowski. E poi ho una preparazione da attore che ho utilizzato nel dirigere gli interpreti del mio film.

Si è servito dell’esperienza  passata?
Ho mantenuto un ritmo di lavoro e uno sguardo sui corpi e la realtà di tipo documentaristico. Mi sono affidato all’ascolto e a quella energia giornaliera che deve avere il documentarista. Così ho portato scene di finzione nel quotidiano reale e allora vediamo gli attori al comizio indipendentista, in chiesa, alla festa country.

Quando ha girato le scene del comizio di Gianluca Busato, leader del referendum indipendentista?
Nell’estate 2012, non è facile astrarsi dal contingente e dai luoghi in cui sei nato e cresciuto. Gli anni recenti sono stati segnati da dinamiche altalenanti che esprimono una cultura leghista. Nel frattempo il partito di Salvini ha deluso i suoi sostenitori e sono nati gli indipendentisti ‘buoni’, i cosiddetti referendari, e quelli ‘cattivi’, i cosiddetti secessionisti. All’origine una crisi economica che ha morso in maniera molto intima le soggettività.

I rapporti personali sono contaminati da questo leit motiv del denaro, che spesso ricorre nei dialoghi.
L’etica del lavoro così presente nel Nord Est è stata colpita in modo forte dalla crisi economica. Dagli anni ’70 molte famiglie si erano trasformate in piccole aziende fiorenti, fino a qualche anno quando hanno conosciuto grandi difficoltà. E il territorio con i capannoni abbandonati, con le aree industriali dismesse, è lo specchio di questo tracollo.

Come ha lavorato con il cast?
Alcuni attori non avevano la sceneggiatura e hanno saputo di giorno in giorno quel che chiedevo loro. Inoltre insieme a Nicoletta Maragno, Itala nel film, ho creato, prima di girare, relazioni di coppia tra i vari personaggi, prescindendo anche dalla sceneggiatura e partendo per esempio dalla cura dell’altro, da un spazio vissuto in comune. Alcune improvvisazioni in audio sono poi diventati testi più chiusi nelle scene. Insomma c’era una sceneggiatura di base , che è stata saggiamente abbandonata durante le riprese e poi riemersa in fase di montaggio.

E questo titolo così evocativo come è nato?
Quando ho trovato il borgo del film, quel chilometro quadrato di Texas con roulotte e maneggio. Non poteva non diventare la piccola anima della famiglia.

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