GIFFONI – Leggendo i titoli della carriera di Alessandro Borghi non c’è dubbio sia tipo da accettare le sfide, evidentemente non solo da interprete, ma anche imprenditoriali e creative, al di là della recitazione. È infatti notizia recente, del maggio 2024, quella che annunciava il suo ingresso tra i soci di Be Water, società di produzione e distribuzione di Guido Brera: da cosa nasce il suo bisogno di diversificare, pur rimanendo nell’ambito cinematografico? E quanto questo stimola la sua creatività? Quanto sono state un volano le esperienze internazionali, luoghi in cui è cosa comune che un attore sia spesso anche produttore, o ricopra comunque altri ruoli al di là di quello di fronte alla macchina da presa? “La necessità di entrare nel processo produttivo viene da una necessità che ho sempre avuto da attore: a un certo punto mi sono reso conto che quando qualcuno mi chiedeva di entrare nel progetto di un film spesso fosse troppo tardi, per me non andava bene perché volevo essere parte del processo sin dall’inizio. Così ho cominciato a studiare i modelli produttivi, poi ho avuto la fortuna di incontrare Guido Brera che, oltre a essere una delle persone più incredibili che abbia mai conosciuto, è diventato anche uno dei miei più cari amici; il suo progetto di Be Water nasceva da una grande voglia di usare quel potere economico, insieme ad altri soci, per provare a cambiare le cose del cinema, infatti ha dentro di sé tutta la filiera. È successo che Guido mi abbia detto: ‘adesso che la vedo crescere, sarebbe bello averti dentro’, e io non c’ho pensato neanche un secondo, perché era una grande occasione. È stata una necessità che sentivo da molto tempo prima, associata alla possibilità di rendere questa cosa reale, con persone straordinarie. Rispetto alle sfide, ho adesso quella di papà, che è complicata; mentre parlando di quelle creative, io scrivo tanto, ho pensato spesso all’idea di cominciare a dirigere qualcosa, ma mi piace proprio recitare! Non so se provando si rivelerebbe più semplice ma non capisco come riescano i miei colleghi contemporaneamente a recitare e dirigere e, al momento, se dovessi scegliere, preferirei ancora recitare. Quindi, dovrei trovare qualcosa in cui fare solo il regista, che potrebbe arrivare, ma ancora non so quando: ho idee, sto studiando, a un certo punto arriverà”.
Questo discorso – nella sua ampiezza – porta alla riflessione sulla produzione e sull’uscita dei titoli italiani, col ricorrente dibattito sul fatto che forse ne escano troppi, e Alessandro Borghi non fa giri di parole nel dire: “…che forse ne escono di brutti! Il problema dei film che escono è qualcosa di cui parliamo da tanto tempo, c’è un grandissimo problema distributivo nel nostro Paese, c’è un grande problema di chi siano i soggetti a cui si danno i soldi per fare i film, però io a volte mi faccio anche un esame di coscienza e mi chiedo: ‘perché questo sta facendo questa cosa, oggettivamente brutta e improponibile?’ però poi al box office incassa 800mila euro e allora mi dico ‘beh, allora può piacere’, questo per dire che uno deve scendere dallo scalino che ci mette nella posizione di pensare di sapere le cose come funzionino; a volte si è certi di conoscere la verità e la cosa giusta da fare, quando non è così. Certe volte, vedo dare finanziamenti a film invalutabili e non a persone talentuose con idee straordinarie, semplicemente perché fanno film meno commerciali. Il film commerciale non esiste più. Quindi, questa occasione di Be Water mi costringe anche a fare questa cosa, a non puntare il dito e basta, ma essendoci dentro rendermi conto del perché a volte si facciano delle scelte, piuttosto che altre. Sicuramente c’è un sistema che ha tantissimi criteri che non hanno a che fare con la bellezza del film, e questa cosa non ci salva. Se intanto riuscissimo a risolvere la questione del Tax Credit sarebbe un passo, perché intanto stanno tutti a spasso. Io, che adesso per fortuna incontro, lavoro, parlo con coetanei o anche persone più grandi, di altri Paesi, mi dicono che ci siano sì problemi e facciano sì una quantità di film, ma riescono ad andare bene al botteghino e essere anche candidati a premi. Per chi ha accesso alla piattaforma per il voto dei film dei David c’è da piangere, perché su 80 film ce ne sono 65 che ‘non vedrebbe nemmeno mio figlio di un anno e tre mesi’: il cinema è una cosa seria, che va fatta con spirito di divertimento, ma che comporta le energie di un sacco di persone; la creatività non va sottovalutata e questa cosa mi fa davvero incazzare!”.
Questo è l’uomo Borghi, l’attore dopo oltre 10 anni di carriera, e l’imprenditore, ma a Giffoni è abbastanza inevitabile domandarsi che adolescente sia stato: “abbastanza furbo, mi davo da fare per non finire nei guai”, racconta lui. “Sono cresciuto abbastanza per strada, con degli scapestrati a cui ho voluto un bene immenso, e ancora gliene voglio. Sono una persona che ancora oggi frequenta in maniera pura, viscerale, quelli con cui sono cresciuto, i miei amici sono quelli con cui vado in vacanza da sempre, e sono quelli che mi rendono veramente felice, al di là della mia compagna; e, tra l’altro, sono dei giudici del mio lavoro veramente capaci di dirmi ‘bravissimo’ come ‘hai fatto un film inguardabile’, quindi mi aiutano anche a rimanere con i piedi per terra. Ero un buono, mi sentivo molto male rispetto alle ingiustizie: da piccolo venivo un po’ bullizzato, quindi poi ho menato tutti quelli che bullizzavano, però seguivo molto il flusso, uscivo con tutti, così capivo chi mi piacesse e chi no, però non ho ricordo di essermi lasciato dietro rabbia”.
E, a proposito di incontri, come riconosce fondamentale quello con Brera, Alessandro Borghi racconta anche che “l’ultimo che ha cambiato la mia vita l’ho avuto con Gianni Amelio, con cui ho fatto un film con cui andremo a Venezia, Campo di battaglia. È un uomo di 80 anni che ha la forza di un barbaro di 20. Abbiamo fatto un film al freddo, a meno 10 gradi, in mezzo alle montagne, e non è mai stato seduto. Mi ha ricordato cosa voglia dire essere innamorati dell’idea di raccontare una storia usando il cinema. È stato incredibile. E spero di vedere altri 100 film di Gianni”.
Restando in Laguna, il direttore Alberto Barbera, nella presentazione del programma dell’imminente Mostra del Cinema, ha raccontato che uno dei temi portati dei film che vedremo è l’erotismo, la sessualità, cuore di Supersex di cui Borghi è stato protagonista. Rispetto a Venezia, l’attore riflette che, anzitutto, “adesso bisognerà vedere come siano questi film, ma già il fatto che si facciano film con queste tematiche è un segno, poi bisognerà puntare a fare dei film belli che parlino del tema. Il potere del cinema – e me ne sono reso molto conto quando abbiamo fatto il film su Stefano Cucchi – è l’essere immediato! Io posso raccontarti la storia di Stefano per cinque anni, poi ti mostro come sarebbe potuta essere con un film, e quello di arriva immediatamente. Sulla tematica della sessualità è la stessa cosa: se tu fai una storia che ha come tema la sessualità, ma che riesce anche a presentare personaggi nei quali c’è riconoscibilità, questa cosa ti costringe ad avere a che fare con quella tematica in maniera intima, soprattutto decostruendo dei preconcetti che si hanno magari per via di un’educazione figlia di un altro secolo, ormai. Il discorso è che ciascuno debba semplicemente sentirsi libero, da qualsiasi costrizione; quello che non va bene è andare a rompere i coglioni all’altro, ognuno deve accogliere il punto di vista dell’altro. Pure nel sistema scolastico, il fatto che non si parli dell’educazione sessuale, è incredibile. Però, tornando al cinema, è bello si possa avere uno scambio anche sulla sessualità, ma dev’essere uno scambio libero, mentre è una delle tematiche su cui sembra siano già state scritte delle verità. Ecco, non è uno di quei casi in cui ‘l’importante è che se ne parli’, bisogna parlarne ‘bene’ e far parlare le persone che conoscono e sanno usare le parole giuste”.
Per un personaggio come quello di Rocco Siffredi, ma non meno altri, fondamentale è la credibilità da portare sullo schermo e per Borghi “la credibilità è qualcosa che associo a un pensiero di performance: se tu ti preoccupi di essere credibile vuol dire che ti sei fatto un sacco di domande, io non sono più uno che se ne fa tante; quando leggo una sceneggiatura, il primo pensiero, quasi sempre, è quello che poi all’80% farò nel film, perché seguo l’intuito e mi piace l’idea di essere invaso dai vari elementi, anche in maniera scomposta, perché alla fine esce una forma”. Da un punto di vista di caratteristiche umane, tra i personaggi che Alessandro Borghi sente più vicino a sé c’è “Aureliano ‘Numero 8’ – di Non essere cattivo (2015): aveva metà del suo essere molto simile al mio; la purezza con cui ho deciso di affrontare un personaggio che fosse in grado di lavorare con l’emotività, per il modo con cui voleva bene alle persone, è un modo che a me piace molto: io in prima persona mi chiedo spesso se abbia dato abbastanza abbracci e baci per dimostrare il bene; poi, Massimo Ruggero – della serie Diavoli – aveva tantissima roba mia: la precisione, l’essere schematico, l’essere maniaco del controllo”. Ma la risposta è direttissima, se Borghi pensa all’idea di dover mostrare un film, un solo film da lui interpretato, a suo figlio: “Le otto montagne, perché ho sentito di più l’essere parte di un progetto, ero più consapevole di quello che stessi facendo; io spero, di tutte le cose che lui amerà, una possa essere la montagna, un’immagine che mi piacerebbe è quella di me con mio figlio in montagna; quel film è stato un incontro di persone straordinarie, da Paolo Cognetti ai registi, e poi quando sto con Luca (Marinelli) io sono felice”.
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